giovedì 19 agosto 2010

La strategia che conduce alla sconfitta: il declino della sesta potenza industriale

Per anni ci hanno bombardato in Tv con frasi del tipo "le PMI sono un punto di forza, sono più flessibili e fanno prodotti più di qualità" oppure "il made in Italy ci salverà, è un marchio rispettato nel mondo": tutte balle.
Le PMI mancano della possibilità di mettere in atto economie di scala e quindi sono sempre più deboli in un mercato globale: potevano sopravvivere quando il mondo consumista finiva a Trieste, ora sembrano dei dinosauri, come un artigiano con accanto il Walmart. Questo declino delle PMI si vede ad ogni livello, dai produttori di scarpe alle firme legali che stanno perdendosi il business di cause generato dall'impetuosa crescita economica in Cina (la Cina ha fame di cause legali, per lo più di diritto societario, ma l'Italia che ha tanti avvocati come Francia, UK e Germania messi assieme non riesce ad esportarli).

Ed anche il tanto sbandierato "valore aggiunto della nostra produzione" in larga parte è una balla: magari valeva venti anni fa quando si iniziò ad accusare i cinesi di "saper solo copiare" [1], oggi si sono presi il nostro "know how" e dalla loro hanno i numeri di 300 milioni di middle class e un mercato potenziale di dimensioni continentali.

Ci siamo illusi che la crescita economica dell'Asia significasse questo: "l'Asia produce, ma le teste pensanti restano occidentali".

Che è un po' come dire che l'asiatico è scemo mentre invece l'europeo/americano è furbo: ovviamente non è così, ed in Asia si sta ovviamente spostando anche la progettazione e la direzione strategica.
Del resto, non era credibile che lo sviluppo dell'Asia fosse diretto da milioni di occidentali con "competenze strategiche" ma privi di competenze tecniche: siamo come un esercito in rotta fatto solo di generali a quattro stelle e senza sottufficiali né soldati.

Questo ha un riscontro anche nelle scelte di studio dei ragazzi: per un ventennio (1990-2010) è sembrato che tutti si preparassero al solo scopo di diventare manager, dirigenti, alti funzionari e strateghi dell'economia [2].
Non c'è ovviamente modo di assorbire tutte queste mandrie di "grandi stateghi"; ed anche l'Asia che cresce non se ne fa di niente visto che, non essendo popolata dai bruti "buoni-solo-a-copiare" come i razzisti di casa nostra sostengono [3], ha a casa proprie le risorse umane per provvedere da sé alla gestione strategica del suo sviluppo economico.

Forse solo ora ci si sta un po' svegliando da questo sogno senza senso, ma c'è da chiedersi se forse non sia troppo tardi per larga parte delle nuove generazioni: questa è l'altra faccia del precariato di cui ho parlato nel precedente post.
Il preceriato ha scaricato sui giovani tutte le responsabilità delle generazioni precedenti, le PMI si sono illuse di poter mantenere il loro modello di business in un mondo che cambia radicalmente (il PIL cinese eguaglierà quello USA nel 2030 e per il 2050 lo doppierà!) ed i giovani si sono affidati alle false speranze di un sogno che non ha alcun contatto con la realtà.
Questo mentre in Asia la gente si dà da fare, si rimbocca le maniche, manda i propri figli in politecnici dalla selezione durissima (roba che da noi manco alla Normale) e vede il proprio tenore di vita salire di giorno in giorno.

Anni fa speravo in un declino morbido per questo paese.
Oggi mi pare che la caduta sarà brusca e dolorosa non solo per l'Italia (che, come sempre, è all'avanguardia quanto a degenerazioni dell'Occidente, Fascismo in primis) ma per tutta quella parte del mondo che va da Berlino a Los Angeles.


[1] La stessa pretesuosa accusa era stata mossi negli anni '50 e '60 già ai giapponesi, accusati di "saper solo copiare la tecnologia occidentale" (e tedesca in particolare): poi si è visto come è andata, con Toyota primo produttore di auto al mondo. La realtà è che quando uno ha tanto entusiasmo e voglia di fare, ma manca di competenze, deve pur partire da qualche parte ed i primi passi si fanno per imitazione. Poi, imparati i rudimenti, ci si metterà del proprio.
Questo è ciò che hanno fatto i Giapponesi e ciò che stanno facendo i cinesi.

[2] Come spiegare altrimenti il boom di corsi di laurea come Scienze Politiche? Hanno creato perfino una laurea in "relazioni internazionali e risoluzione di conflitti", il cui unico sbocco sensato ovviamente è una carriera diplomatica a dirimere importanti conflitti geopolitici. Uau. Peccato che ovviamente di posti del genere se ne liberino due ogni dieci anni e che i laureati in questa roba siano decine di migliaia l'anno.

[3] Il solito magico duo LegaNord+sindacati, uniti nella pratica dello "smerdo" del diverso da sé.

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