domenica 19 dicembre 2010

Gasparri Wright: Justice for all

Come sempre quando si abusa di un diritto deve scattare prima o poi una giusta repressione.

Ormai non c'è manifestazione (politica o sindacale) che non finisca con atti illegali: si va dallo spaccare le vetrine all'assaltare le forze dell'ordine al bloccare strade e stazioni abusivamente.
C'è gente che giustifica questi atti dicendo: "eh, ma sai, è l'unico modo per farci ascoltare".
A parte che non è vero (nessuno ascolta, si viene solo strumentalizzati dai Tg), secondo questa logica allora anche far esplodere un autobus è un modo per avere visibilità.

Ben venga il DASPO ed gli arresti preventivi di cui parla Gasparri: è in gioco non tanto il futuro democratico della nazione (come invece era negli anni '70) quanto la vivibilità di un paese in cui ogni due per tre c'è gente che paralizza le nostre città. E' ora di finirla.

domenica 12 dicembre 2010

Welfare jokes (2)

Il precedente post ha suscitato qualche polemica. Mi sento in dovere di puntualizzare alcune cose:
  • L'indebitamento privato è quello che fa fallire le nazioni, l'indebitamento pubblico è quello che fa sì che un ragazzo oggi si accolli le pensioni ricche di gente di 60 anni, quando sarà grasso se cola se a 75 anni vedrà il 40% dell'ultima retribuzione.
  • Il welfare funziona unicamente in quei paesi sottopopolati che hanno risorse da sfruttare, come il petrolio del mare del nord o della penisola arabica.
    Ma anche lì è una questione di tempo, le risorse naturali finiranno e poi ci sarà da ridere. Non è un caso se la destra si riaffaccia nel parlamento svedese e la prima cosa che vuole fare e tagliare il welfare.
  • La crisi ha mostrato a tutti che il welfare al primo incidente di percorso diventa insostenibile.
    Non è il welfare la causa della crisi, ma è il welfare un ostacolo alla ripresa.Il fatto che la crisi sia iniziata negli USA non può oscurare il fatto che in termini dei aumento del PIL i paesi più colpiti sono stati Europa e Giappone, ovverosia quei paesi dal welfare più generoso.
  • Mi è stato fatto notare che una delle colpe del welfare è essere diseducativo. E' perfettamente vero. Ogni politica assistenziale è intimamente diseducativa.
    Lo abbiamo visto anche in Italia con gli aiuti al Sud, che di fatto tengono il Meridione nella miseria da 60 anni.
    Ma anche gli aiuti all'Africa rientrano nella stessa logica: tenere sottosviluppato un continente.
    Del resto non è un caso che i paesi che stanno uscendo adesso dalla miseria (Cina, Vietnam, India, Brasile, Indonesia) lo stanno facendo in un modo solo: grazie al libero mercato.
    E non importa che siano governati dal democratico di sinistra Lula o dalla dittatura del partito unico, la soluzione è sempre e solo il libero mercato e regole certe per le imprese (l'unica cosa moderna e occidentale della legislazione cinese è quella che regola il diritto societario).
  • Il libero mercato, insomma, è il più grosso motore per produrre e redistribuire ricchezza.
    Questo può suonare sconvolgente per alcuni, ma è quello che sta succedendo: stiamo assistendo ad una redistribuzione della ricchezza a livello mondiale.
    Il problema (per noi), è che questa redistribuzione è dall'Occidente verso l'Asia, ma non deve farci dimenticare che complessivamente il mondo sta diventando più ricco, e che chi produce questo aumento di ricchezza è quella parte di mondo che fino a 20 anni fa faceva la fame.
    I socialisti dovrebbero essere felici di questo inaspettato (per loro!) prodigio del libero mercato.

sabato 11 dicembre 2010

Welfare jokes

Il grande inganno del welfare è uno solo: è sostanzialmente inutile.
Il welfare è lo stato che si sostituisce a ciò che dovrebbero e potrebbero fare i cittadini.
Per esempio,  non c'è alcun motivo per cui lo stato debba finanziare sussidi o pensioni che i lavoratori potrebbero finanziarsi da soli. Nessun motivo a parte l'idea bislacca di aiutare chi è rimasto indietro (tipo questo campione qua).

Peccato che aiutare chi è rimasto indietro abbia un prezzo, e sempre più alto. I bilanci disastrati delle finanze pubbliche europee lo confermano.

Di fatto, proprio ora in uno dei momenti economicamente più neri, il welfare europeo dovrà essere tagliato per far fronte a dei debiti immensi. Cioè verrà tagliato proprio adesso che sarebbe davvero utile (se non indispensabile) per molta gente.


Del resto, il famoso "modello sociale europeo" di fatto era tutto meno che un sistema stabile: ha scaricato sulle generazioni future le prestazioni welfare delle generazioni passate. Il risultato è che oggi chi ha meno di 30 anni pagherà la pensione (all'80% dell'ultima retribuzione) a chi è venuto prima di lui, ma quando verrà il suo momento si ritroverà probabilmente anche meno del 40%.


Chi difende il welfare generalmente si richiama a fumose istanze di "giustizia sociale". Ammettiamo pure, per amore di discussione, che tali istanze abbiano un loro fondamento.
Ebbene, che giustizia sociale c'è in un sistema che non può autosostenersi e che premia una generazione a discapito di un'altra?
Se i signori della sinistra mi facessero la cortesia di spiegarmelo gliene sarei grato.

giovedì 9 dicembre 2010

IDEAS vs IDEALS

La differenza sembra poca, ma in realtà è tanta, sebbene l'ortografia la nasconda.

Cos'è una "idea" in politica? Tipicamente è la soluzione a un problema contingente oppure il modo per realizzare un obiettivo strategico.
Ed un "ideale"? Un ideale è un obiettivo strategico da realizzare.


Esemplifichiamo: quando la Costituzione (art. 1) dice che "la sovranità appartiene al popolo" sta enunciando un ideale, un obiettivo strategico.
Del resto è uno dei principi fondamentali della Carta.
Viceversa, quando dice "La Camera dei deputati è eletta a suffragio universale e diretto. Il numero dei deputati è di seicentotrenta, dodici dei quali eletti nella circoscrizione Estero" (art. 56) sta dando delle chiare disposizioni per realizzare quell'obiettivo strategico.
Vale a dire, l'obiettivo strategico si concretizza grazie ad una idea per realizzarlo.

Da sempre, la fascia di popolazione più facile da plasmare con gli "ideali" è composta dai giovani, che sentono intimamente "giuste" certe prese di posizione su questioni di principio.
Possono essere sia di destra che di sinistra, non è questo il punto. Il punto è che ai giovani vengono trasmessi degli ideali [*].

Un problema serio, però, è che gli ideali tendenzialmente una volta interiorizzati non si discutono: diventano cioè dei dogmi di fede, con cui giustificare ogni cosa.
Si pensi ad esempio alle frange di estrema destra, che si fanno scudo degli ideali di Patria, Nazione e via dicendo per riproporre in pratica la solita minestra del Ventennio.
Ma si pensi anche alla sinistra italiana: quel che sa fare è essenzialmente dire "no", fare resistenza. "Resistere, resistere, resistere", come diceva Borrelli anni addietro, richiama ai valori della Resistenza e bla bla bla. Richiama a "ideali" nobili, alti e bla bla bla in base ai quali diventa lecito, per chi è animato da essi, prendere sacchi di merda e svuotarli davanti alla casa di un Ministro della Repubblica [**].

Cosa significa questo, dunque? Significa che abbiamo zeppato i ragazzi di ideali ma non di idee.
Li abbiamo zeppati degli ideali del '68, ormai vecchi e stantii, coi professori ex-68ini che hanno preso le cagate ideologiche cui credevano in gioventù per ripropinarle ai propri studenti.
Magari oggi nessuno agita più il Libretto Rosso di Mao (andrebbe trattato come il Mein Kampf) e pretende di illustrarlo in classe per far vedere le meraviglie del socialismo reale, ma solo perché nel frattempo il socialismo reale è morto [***].
Li abbiamo zeppati di ideali, ma senza dare loro uno straccio di idea: nessuna idea su cosa fare, cosa organizzare, cosa studiare. Nulla. Solo ideali.

Questo del resto si riallaccia a ciò che dicevo in post precedenti (link): il predominio della strategia sulla tattica. E' verissimo che le guerre si vincono sul piano strategico.
Ma va anche detto che di "strateghi" ne servono molti di meno che di "tattici". La gente invece questo non sembra capirlo, perché in questo paese tutti credono di essere al centro del mondo e di avere nelle mani le redini di chissà cosa.
Niente di più falso.
La maggioranza di noi non ha in mano manco le redini della propria vita (quel che abbiamo in mano, semmai, è il telecomando per decidere se vedere le Tv di Berlusconi o la Rai che è di Berlusconi uguale).

Questo spiega le scelte del paese: sul piano politico, l'esplodere degli estremismi che puntano tutto sugli ideali strategici ma poi si risolvono nell'idea "tattica" di portare merda a sacchettate.
Sul piano economico, il credere che la produzione possa spostarsi in Asia senza portarsi via dietro una fetta importante della richezza prodotta.

Sul piano personale, il credere che una laurea in Mediazione Geostrategica dei Conflitti sia davvero un viatico a quel tipo di carriera.

Tutta strategia di alto livello, ma nessuna idea concreta.

Tutti questi errori sono figli dello stesso inganno duplice.
Aver messo da parte l'intelligenza e la fatica dello spremersi quotidianamente le meningi per cavare fuori nuove idee per far funzionare le cose.
Per fare spazio a cosa? Ad affermazioni di principio, le quali, fatte una volta a 20 anni, restano quelle per tutta la vita.
I mediocri si trincerano sempre dietro gli ideali, perché chiunque può umanamente aderire a dei principi. Ma le buone idee ce le hanno in pochi.


[*] O meglio, vengono trasmessi ideali a quei giovani che non si rispecchiano nella famosa frase di Lucio del GrandeFratello4: "Io 4 valori c'ho: materialismo, macchine, cavolate, soldi, carte di credito, champagne, puttane e tutto il resto".

[**] Questo normalmente farebbe sorridere i più: i partigiani avevano un fucile in mano e richiavano di farsi scannare dalla Wehrmacht che occupava l'Italia. Questi studenti "idealisti" sono al quindicesimo anno fuoricorso di cazzologia applicata, e si muovono a volto coperto consci di godere di una sostanziale impunità. 
Che coraggio!
Degli eroi!

[***] Un professore sindacalista delle mie parti, oggi nell'amministrazione comunale della mia città di merda, nell'89 spiegava in classe agli studenti (che gli chiedevano lumi sull'attualità, che errore!) che i manifestanti di Piazza Tiananmen volevano più comunismo. Questo tanto per dare l'idea.

Deregulation is the way!

C'è una metà buona d'Italia che ha deciso di non rispettare le regole.
Ma perché ha deciso di fare così? Perché l'Italia è uno dei paesi più oppressivi d'Europa sotto una infinità di punti di vista: dal fisco alla burocrazia, in Italia spadroneggia l'attitudine catto-comunista a colpire, penalizzare e smerdare chi fa soldi.
Col risultato che si costringe oggi chi vuole fare i soldi ed ha le qualità, il merito e le competenze per farne ad agire in modo spesso illegale.
Questa Italia si riconosce in Silvio Berlusconi, perché rappresenta uno di loro, incarna quel che loro vorrebbero dallo stato: meno burocrazia, meno tasse, meno regole.

Su alcune cose questa gente ha ragione: pensate alla legislazione sulla sicurezza sul lavoro.
Abbiamo la legislazione più rigida d'Europa in questo campo, addirittura un imprenditore è tenuto a garantire la sicurezza dei suoi dipendenti con ogni mezzo tecnologicamente disponibile.
Capite che questo significa due cose: o un datore di lavoro queste norme le rispetta davvero, e quindi chiude dopo due settimane, oppure se ne catafotte del tutto rischiando e facendo rischiare ai suoi dipendenti.
Ovviamente quest'ultimo caso è quello diffuso sul territorio, tant'è che l'Italia è uno dei paesi col più alto numero di incidenti e morti sul lavoro.

Ma se ne potrebbero fare altre decine di esempi: pensate ad un imprenditore che sulla carta deve pagare un buon 50% di tasse sui suoi guadagni, che però sono solo sulla carta perché magari i suoi clienti non lo pagano.
Lui deve pagare le tasse su guadagni che non ha perché lo stato non è abbastanza intelligente da capire che se i clienti non lo pagano lui a sua volta non può pagare lo stato.
La soluzione? Ovviamente fare in nero ed evadere.
Oppure fare bancarotta e mandare a casa i dipendenti.

Ma ancora, la legislazione sul lavoro: l'Italia dà delle garanzie mai viste ad un dipedente con contratto di lavoro subordinato.
Praticamente l'azienda se lo sposa e non è in grado di liberarsene neppure se questo non fa un cazzo, perché le cause di lavoro sono lentissime e prima di licenziare ci devono essere settecentomila ammonimenti verbali e scritti.
Risultato?
Che o lavori in nero o ti fanno uno stàge o un co.co.pro.

Considerate bene queste esempi, perché sono indicativi.
L'Italia è al top per legislazione sulla sicurezza del lavoro, tasse e garanzie del posto di lavoro.
Risultato: morti nei cantieri a iosa, evasione fiscale e precariato perenne.

L'eccesso di regolamentazione produce mostri.
L'elettorato di Berlusconi lo sa ed è per questo che si affida a lui.

Ed il giorno che Berlusconi non ci sarà più il suo elettorato rimarrà comunque, ed avrà bisogno che qualcuno dia delle vere risposte che, inevitabilmente, dovranno scontentare i catto-comunisti amanti della burocrazia e delle tasse.

Is Academia reform at hand?

La risposta alla domanda è: "si, bho, forse, ma anche no".

La cosiddetta "Riforma Gelmini" ha retto alle proteste di piazza di studenti fuori corso, centri sociali, baroni e chi più ne ha più ne metta.

Questi campioni dello "smerdo" sono arrivati a portare sterco fin sotto casa del ministro, per dimostrare la mondo intero (casomai ce ne fosse stato bisogno) di che pasta sono fatti e quanto sono civili.
Hanno occupato le stanze di una camera del Parlamento per dimostrare quanto rispetto hanno delle istituzioni democratiche della nazione.
Eppure, inconcepibilmente, la Riforma Gelmini ha retto a tutto questo ed è a un passo dall'approvazione.

Eppure è appesa ad un filo.

Il filo non sono le proteste di piazza dei casinari di professione. E', banalmente, la tenuta del governo Berlusconi IV. L'approvazione finale della Riforma al Senato, infatti, è stata calendarizzata dopo il voto di fiducia.

Ergo, se il Berlusconi IV viene sfiduciato la Riforma viene praticamente seppellita.
Lì dove non è riuscita la merda degli studenti potrebbero riuscire Fini & Casini, la strana coppia che non si sa cosa voglia dalla vita: prima dicono che Berlusconi è il problema e deve andare a casa, poi che può dimettersi ma loro gli assicurano un reincarico lampo, poi non sanno più manco loro che dire.
Tempo qualche giorno sapremo che fine farà questo governo e la Riforma dell'Università.

La quale, pur con tutti i suoi difetti [*], è forse l'unica cosa che questo esecutivo ha fatto negli interessi del Paese e non in quelli personali del Presidente del Consiglio.


[*] Primo tra tutti, l'abnorme numero di regolamenti che dovranno essere emanati da governo e parlamento per rendere esecutiva la riforma.
In secondo luogo, l'assenza di garanzie sull'immissione in ruolo dei meritevoli. Che il governo dia dei numeri, purché li dia: va bene anche dire "solo l'1% di chi si fa i 3+3 anni da ricercatore a tempo determinato diventerà professore associato, il restante 99% va a casa". Almeno uno a 27-28 anni, finito il Ph.D., sa quali sono le sue chances e pianifica la sua vita in base a dei numeri certi.
Ora come ora c'è la possibilità che per anni interi non possa essere bandito alcun posto di ruolo.

Driving forces in monotheistic religions

Consiglio vivamente questo link: è scritto dall'amministratore di una delle principali comunità web islamiche italiane, e contiene già esso diversi spunti su come i maomettani intendano il loro rapporto col mondo.
In particolare la guida a come picchiare le mogli in accordo con la rivelazione del profeta (la pace sia su di lui).

Vorrei ora prendere spunto da questo cumulo di idiozie su riportato, per discutere una delle caratteristiche fondamentali delle religioni abramitiche: l'aspetto comunitario della religione.


Chiunque abbia un minimo di buonsenso, ha notato che oggi essere un fedele integralista di una di quelle religioni significa sostanzialmente legarsi le braccia dietro la schiena e camminare saltellando su una gamba sola: islam e cristianesimo de facto chiedono questo oggi ai propri fedeli.
Che si tratti di astenersi dal sesso fuori dal matrimonio, di fare 4 preghiere rituali, di non mangiare maiale, di coprirsi i capelli con il velo o di prendere a pietrate le adultere, il senso è lo stesso: le religioni chiedono sacrifici che danno uno svantaggio competitivo ai propri adepti rispetto a chi, banalmente, di tutte queste sciocchezze se ne frega.
Maomettani e cristiani integralisti ovviamente percepiscono di stare tarpandosi le ali da soli: a loro viene chiesto di correre i 100m a piccoli balzelli saltellando su una gamba sola quando tutti gli altri corrono normalmente.
Quindi, se fossero isolati, si chiederebbero: "ma che cosa cazzo sto facendo?"
Non sono stupidi: se fossero gli unici a seguire alla lettera hadith, corani o vangeli, dopo poco la farebbero finita non volendo (giustamente) fare la parte degli scemi del villaggio globale.
Ma c'è un ma.
Non sono soli e non sono unici: quando escono di casa vedono altra gente che si muove con le braccia legate dietro la schiena saltellando su una gamba sola.

Ecco spiegato il mistero: un comportamento stupido per sopravvivere ha bisogno che esistano comunità più o meno chiuse di persone che mettano in atto quel comportamento.
Altrimenti il fedele inizia a porsi dei dubbi sulla sensatezza di quello che fa e immancabilmente smette di fare stronzate.

Questo spiega anche lo sforzo profuso nel cristianizzare o islamizzare il prossimo: indurre un altro a camminare anch'egli con le braccia legate e su una gamba sola è una riprova per il fedele integralista che nelle stronzate che sta facendo c'è davvero un seme divino: altrimenti chi sarebbe così stupido da fare cose del genere?
E allah è il più sapiente.

domenica 24 ottobre 2010

Laureati? Non pervenuti

L'attacco concentrico all'università, sacrosanto, sta perdendo smalto grazie alla pronta reazione baronale e studentesca.
Non stupisce: questo governo, il più mediocre dei mediocri, difficilmente può tenere fede allo "spirito riformatore" ed alla "rivoluzione liberale" tanto a lungo promesse.

In un bell'editoriale sul Corriere della Sera di oggi (link) si illustrano le conseguenze ultime della riforma Gelmini, come del resto avevo già esposto nel mio post di 4 giorni fa (link): portare l'estinzione e la selezione naturale nelle casematte del clientelismo (dette anche "università").

Comunque, che la riforma vada in porto o no, la laurea comunque diventa un pezzo di carta sempre più inutile, al livello dei "rotoloni regina": non finiscono mai, e devi correre per agguantarli.

Perfino su Repubblica si stanno svegliando ed oggi leggo questo ispirato brano (link):
Ma quali sono le "arti" che offrono impiego e non lo trovano? Niente a che fare con l'alta tecnologia, con i segreti del web e con i mille "corsi di computer" che milioni di famiglie hanno pagato e fatto frequentare ai figli pur di riciclare il vecchio diploma o, ancor peggio, la fresca laurea.
Alle imprese italiane - piuttosto - servono installatori di infissi e serramenti: quest'anno, assicura la Confartigianato, le aziende erano pronte ad assumerne 1.500, ma nell'83,3 per cento dei casi non hanno trovati quello che cercavano. Stesso problema per i panettieri, i pastai, gelatai, pasticceri, tagliatori di pietre, marmisti, falegnami, cuochi, sarti, tessitori... insomma 68 mestieri (tanti ne elencano gli artigiani) dove il "saper fare" conta, ma non si trova. Dove il lavoro è fatica anche fisica e la manualità fondamentale. Posti che restano vacanti sia perché i candidati che si presentano sono pochi , sia perché quelli che ci provano non sono adatti.
Insomma, anche a sinistra stanno scoprendo che forse far laureare tutti nelle discipline più assurde forse non è un viatico per trovare lavoro.

Questa tendenza infame a creare corsi di laurea demenziali va di pari passo con la volontà dei giovani di non sporcarsi le mani e scegliere sempre la strada più facile.

Quando io dico che la società italiana è ingessata e che per i giovani si prospetta un futuro precario e di miseria, non intendo affatto dire che i giovani siano tutti bravi e che abbiano diritto a ciò che hanno avuto i nostri genitori.
Quel che intendo dire è che sui giovani si sono scaricate tutte le "colpe" del nostro mercato del lavoro e che il peso è tale da stroncare anche i più meritevoli.

Ovviamente, i più meritevoli sono solo uno sputo-percento del totale, e questo ce lo dice anche Repubblica: tutti sono convinti di avere le qualità per essere ambasciatori, poeti e letterati (altrimenti non si capisce perché tutti vadano a relazioni Internazionali, Scienze Politiche, Mediazione di Conflitti e così via).
Non hanno neppure quel briciolo di buonsenso da capire che è meglio essere un buon manovale con uno stipendio che un cattivo intellettuale a carico dei genitori.
La cosa bella è che prima o poi i soldi di mamma e papi finiranno.

Death penalty

Detto molto brutalmente: sono personalmente a favore della pena di morte.
Non certo per gusto per la vendetta, o per motivi religiosi. Non sono certo uno con la bava alla bocca che gode nel vedere morire una persona, per quanto colpevole di qualche reato.

Semplicemente, ritengoci siano degli atti che, se perpetrati, qualifichino come irredimibili al di là ogni possibile tentativo, e la pena di morte può essere una risposta più sana e umanitaria del carcere a vita.

Mi spiego meglio: lo stato, in ogni stato di diritto inclusa la nostra (malata) democrazia liberale, è l'unico detentore della violenza legale.
Ad esempio, lo stato ha il potere di prelevarci a casa all'improvviso e detenerci contro la nostra volontà in luoghi spregevoli come le nostre carceri, minimizzando i nostri contatti col mondo esterno: e può fare tutto questo legalmente, se sussistono le opportune condizioni prescritte dalla legge e dalla Costituzione.
Insomma, lo stato può disporre della nostra libertà personale.
La libertà personale, per quanto mi riguarda, è uno dei diritti essenziali del cittadino, forse il primo tra tutti in quanto attiene alla sua dignità come individuo (anche la "Carta dei diritti fondamentali dell'Unione Europea", visionabile qui, mette la dignità umana al primo posto, anche prima del diritto alla vita stessa!). Una vita non libera è una vita indegna, è una vita segregata in cui normali attività (talmente tante e basiliari da far accapponare la pelle) sono impedite.

E lo stato può privarci di tutto questo legalmente, può strapparci dal sorriso dei nostri cari o impedirci di fare una normale passeggiata al sole: la legge dice che può.
Ora, capite bene che se lo stato può fare questo, non si vede ragione del perché lo stato non possa, in opportune condizioni, toglierci la vita.
L'idea che lo stato non possa uccidere legalmente perché non è dio si commenta da sola: è un punto di vista insulsamente cristiano, privo di una base razionale e mosso solo da principi di fede, fragili come il vetro ed irragionevoli come supporre che il figlio di un carpentiere possa moltiplicare pani e pesci.
L'idea che lo stato non possa uccidere legalmente perché non ha il diritto di toglierci ciò che non ci ha dato è parimenti assurdo: a parte che aprirebbe la porta (legale) all'uccisione dei figli da parte dei genitori, l'idea stessa che lo stato sia limitato da ciò che dà è incoerente. Lo stato è una manifestazione della tendenza umana a formare società di individui che in una qualche misura hanno interessi simili e che collaborano. Ed è solo la società umana a contemplare il diritto e la legge e pertanto è solo all'interno di una società che queste parole hanno un senso.

Quindi, in sintesi, la mia personale opinione è che si dovrebbe fare un largo uso della pena di morte per tutti quei casi di persone che sono solo un fardello ed una minaccia per la società e la sicurezza dei cittadini.
La prima cosa che viene in mente, ovviamente, è l'omicidio volontario, ma non si dovrebbe limitare la pena di morte solo a questi casi: io davvero non ho piacere a respirare la stessa aria di stupratori e papponi.
Li odio, li maledico e li detesto, ma non è che vorrei vendicarmi di loro: semplicemente sono disturbato all'idea che esistano e che possa condividere qualcosa con me. Io non voglio condividere nulla con loro, e avrei piacere che lo stato facesse in modo di disporre di loro per sempre in modo definitivo.

Dico questo perché il gran polverone sollevato in merito al caso Sakineh in Iran è stato come sempre male inquadrato dai media.
La cosa inaccettabile non è la pena di morte, come il solito associazionismo radical-chic blatera in televisione.
Molti paesi civili e democratici applicano la pena di morte, inclusi gli USA ed il Giappone. E molti altri la applicavano fino a poco fa: anche la Francia ha usato effettivamente la ghigliottina fino alla fine degli anni '70, e nessuno credo voglia affermare che la Francia negli anni '70 fosse un paese incivile e retrogrado.

Ciò che è un vulnus è che la pena di morte venga imposta in base a leggi religiose che si permettono di intrufolarsi nella vita sessuale dei cittadini senza una ragione valida di sicurezza pubblica [*].

Questa è la cosa che andrebbe ribadita, ma ovviamente i soliti terzomondisti d'accatto non lo possono ammettere, perché equivarrebbe a dire che la shria è incivile e che quindi non tutte le culture rispettano in modo uguale i diritti umani (cosa che il terzmondista, invece, si ripete da solo come un mantra).

Ancora una volta le ideologie dominanti offuscano i fatti e la ragione.


* Per capirsi, la violenza sui minori ad esempio è un motivo valido perché lo stato sanzioni certi comportamenti, in quanto altrimenti si lascia che un singolo faccia violenza su un minore.
Un rapporto adulterino tra due adulti consenzienti ovviamente non rappresenta un pericolo pubblico per nessuno.

L'imbarazzante silenzio dei sindacati

Anche i quotidiani di area catto-eco-comunista si stanno rendendo conto che i giovani precari di oggi (che saranno i vecchi di domani) non avranno pensione (link).
Nello specifico, se andiamo a vedere i numeri, si parla grosso modo di pensioni comprese tra i 5000 e gli 8000€ l'anno per gente che abbia lavorato 12 mesi l'anno (niente ferie ovviamente, un co.co.pro. non ne ha diritto) per almeno 40 anni [*]. Cioè meno di quello che è oggi la pensione sociale erogata a chi non ha mai mosso un dito in vita sua per lavorare.

Ed anche i quotidiani d'area non capiscono bene perché il sindacato, che non fa che sfilare e protestare e minacciare in difesa della classe operaia più fannullona del continente, taccia davanti a questa macelleria sociale che si sta delineando.

Che questi quotidiani (e tutta l'accozzaglia intellettuale che si trascinano dietro) non capiscano è evidente: la loro ideologia impedisce di vedere la semplice realtà dei fatti.
Noi che, si spera, non siamo affetti da nessuna fede o ideologia, possiamo invece dare una spiegazione molto razionale del fenomeno.
  • I sindacati hanno avallato tutto questo già ai tempi della riforma del lavoro di Treu.
    Il mercato del lavoro in quegli anni (1996-1998) era al collasso e le soluzioni erano due: o liberalizzarlo in qualche misura per tutti oppure garantire il posto fisso ai vecchi e scaricare tutti gli oneri sui giovani.
    "La seconda che hai detto" è stata la risposta del mitico trio CGIL-CISl-UIL.
    I sindacati hanno venduto il futuro (lavorativo) dei giovani per salvaguardare i privilegi dei vecchi.
Il perché di questa scelta è ovvio: i sindacati, come vado ripetendo da svariati post, non sono affatto i difensori "dei lavoratori". Assolutamente no.
I sindacati difendono i lavoratori iscritti al sindacato. E stop.
I sindacati amano ammantarsi di un'autorità che non hanno, ovverosia quella di rappresentare tutti coloro che "faticano", ma non è affatto così.
Quindi non ci dobbiamo stupire se essi hanno sottoscritto accordi per salvaguardare i propri iscritti svendendo il futuro dei giovani che, in quanto ai margini del mercato del lavoro, non sono iscritti.

Inoltre il precariato riguarda più di tutti i laureati, gente con un minimo di cultura in più della media (solo un minimo, eh, ma basta quello a fare la differenza) e che tendenzialmente non amma accontentarsi: tutta gente che in quanto più istruita e consapevole crea problemi a tutti, sindacati inclusi [**].

Certo, nel lungo periodo questa si rivelerà anche per i sindacati stessi una scelta miope: difendendo il passato a discapito del futuro hanno posto le basi per un crollo di iscrizioni.
Ma si tratta di un futuro remoto e la dirigenza sindacale, fatta per lo più da funzionari interessati a salvaguardare i propri interessi personali, non ha certo interesse nel futuro degli altri.

Ovviamente la sinistra catto-eco-comunista non ha nessuno strumento culturale per capacitarsi di questo, perché uno dei dogmi incrollabili della fede post '68 è che la CGIL è infallibile (un po' come il Vescovo di Roma per i cattolici).

Sicuramente questa sinistra radical-chic e con la erre moscia impiegherà svariati anni a dibattere ancora del problema nei suoi "salotti buoni", quando la soluzione più semplice e che spiega più cose (quindi, in base al rasoio di Occam, quella più aderente alla realtà) è chiaramente al di là della sua prospettiva culturale.

La speranza è che questa gente, se proprio vuole riempire le piazze, continui a non essere rappresentata a livello legislativo.



* Ovviamente supporre che un "precario a vita" riesca sempre a lavorare in modo continuativo per 35-40 anni è pura utopia. Vorrebbe dire che appena scade un contratto o un progetto immediatamente ne trova un altro, del tutto irrealistico visto che la disoccupazione giovanile è oltre il 25%.
Quindi le pensioni in realtà saranno ancora più basse.


** Non può sfuggire ormai la correlazione che c'è tra istruzione e bassa sindacalizzazione.
Del resto il sindacato da tempo trae forza da povertà, miseria e ignoranza, esattamente come la Chiesa Cattolica.

mercoledì 20 ottobre 2010

Extinction Approaching

La tanto vituperata "riforma Gelmini" non riesce a partire, grazie al ministro Tremonti.
Ma più che alla riorganizzazione dell'università, la vera cosa che conta è una ed una sola: il taglio del finanziamento statale agli atenei.
Ed era ora: gli effetti si stanno già preannunciando (link): una riduzione del numero delle università.
Siamo un paese di ignoranti patentati, ma con ben 88 atenei per 60 milioni di persone: fabbriche di laureati incolti e mediamente analfabeti (link) create al solo uso e consumo di baroni che fanno ricerca risibile.
Il migliore effetto della riforma consiste proprio in questo: tagliare, tagliare e tagliare.

E lasciare che, finiti i soldi a pioggia dello stato, la selezione naturale riprenda il suo naturale corso di premiare chi lavora bene e bastonare chi sta a grattarsi incassando lo stipendio.
Ci vorranno anni perché la situazione si assesti e si raggiunga un ragionevole equilibrio [*], ma non c'è fretta. Anche i dinosauri non si sono estinti in due giorni.



* Ovviamente, prima di arrivare ad un equilibrio del sistema, accadranno ingiustizie a manetta, tipo gente brava che viene castigata senza motivo e così via. Che dire, è inevitabile, come in tutti i processi di massa.

sabato 16 ottobre 2010

I lavoratori si dividono in due categorie: i lavoratori e i non-lavoratori

La manifestazione sindacale di oggi ha del grottesco (link).
Per una volta mi trovo d'accordo con le parole di un ministro del governo Berlusconi:
Oggi è scesa in campo una minoranza, speriamo che resti tale.
Ecco, io lo spero davvero.
Non mi permetto di giudicare i singoli che hanno ritenuto di partecipare a questa iniziativa.
Mi permetto però di dire la mia su cosa ci sta dietro a tutto questo: una non accettazione della realtà.
Questa non accettazione passa da almeno due stadi, ben interconnessi tra di loro: li passo brevemente in rassegna.

1) La critica più forte che si è levata dai sindacati e dalla "sinistra estrema" (a me piace chiamarla "sinistra smodata", perché dà più l'idea di un gesticolare frenetico sotto gli effetti di stupefacenti) è rivolta al cosiddetto "Modello Marchionne" ed alla "dittatura del libero mercato".
Peccato che il "Marchionnismo" non è altro che chiedere che i lavoratori facciano quello che li definisce: lavorare, e non inventarsi centomila scuse per assentarsi e mandare in malora le fabbriche.
Marchionne chiede una cosa molto semplice: vuole che siano prodotte x auto nel tempo y, perché all'azienda servono visto che le attuali previsioni sull'andamento dei mercati suggeriscono che solo le aziende capaci di immettere grandi quantità di auto potranno sopravvivere alla crisi.
Quel che chiede Marchionne ovviamente è del tutto giusto e sarebbe lecito chiederlo in ogni circostanza ("prendete uno stipendio per lavorare, non per darvi malati quando gioca l'Italia"), ma a maggior ragione adesso che la sopravvivenza stessa dall'industria italiana è a rischio.
Ovviamente queste parole di buon senso sono state salutate da parte dei sindacati con la solita bordata di insulti: tra Landini e gli altri suoi compagni di merende sono arrivati a dire di tutto, compreso che Marchionne "attenta ai diritti costituzionali" [*]. A quali diritti costituzionali facciano riferimento questi signori non è dato saperlo, probabilmente anche la "sinistra smodata" ha deciso di dotarsi di una costituzione materiale sua propria (non diversamente da quel che sostengono Ghedini e Berlusconi [**]) il cui articolo unico recita: "Tutti sono automaticamente lavoratori ed hanno diritto a percepire un regolare stipendio qualunque cosa facciano o non facciano".
Con questi figuri è del tutto impossibile imbastire alcun dialogo: bene fa Marchionne ad andare avanti senza di loro, che proseguano il loro sterile monologo nelle piazze.
Resta il fatto che questa gente può avere un seguito: a seconda di quanto è esteso tale consenso il destino industriale del nostro paese può portarci verso il baratro del terzo mondo o meno. In ogni caso sappiano che a Marchionne non ci vuole niente a smobilitare tutto, licenziare a manetta e spostare la produzione in posti dove la gente ha voglia di sgobbare sul serio, tipo Polonia e Romania.


2) La gente scesa in piazza grida esasperata: "non c'è lavoro, è inaccettabile".
Be' signori, benvenuti nel XXI secolo dalla parte di chi non cresce più dell'1% l'anno.
Credevamo davvero che quei numeri che l'ISTAT ci dice alla Tv fossero solo sciocchezze? Be', ecco il risultato: l'Italia sta diventando un paese sempre più povero.
E questo non è né inaccettabile né stupefacente: minacciare lo sciopero generale come ha fatto irresponsabilmente Epifani non significa altro che impoverire l'Italia ancora di più, far chiudere più aziende, minare la nostra crescita economica.
Crescita economica che è risibile da decenni a causa di un semplice problema: in Italia la selezione del libero mercato non ha operato per decenni, ed l'assenza di questa ha fatto sì che imprese fallimentari siano rimaste in piedi in modo artificioso (con aiuti di stato, salvataggi pubblici, prestiti irragionevoli in condizioni di insolvibilità) soffocando quel che di buono poteva nascere.
Per anni il sistema ha retto, per il solito motivo cui accennavo prima in precedenti post (link): l'Italia era un paese di una certa importanza, avevamo la cortina di ferro al confine e il mercato stesso si limitava all'Occidente.
Insomma, in una qualche misura (in quanto parte del'Oiccdente) eravamo arbitri e giocatori al tempo stesso, mentre il resto del mondo faceva la fame noi parlavamo di Dior e delle sfilate di Valentino come se fossero cose delle massima importanza.
Ora, se vogliamo, possiamo pure continuare a far finta di essere ancora ricchi e discutere amabilmente di fuffa allo stato puro (come del resto fanno i nostri mezzi di informazione: descrivono un'Italia che sembra ancora benestante), ma nel frattempo il mercato si è allargato a miliardi di altre persone, la guerra fredda è finita da un pezzo e con essa la nostra importanza strategica: scopriamo così che i nuovi protagonisti della globalizzazione (in primis Cina, India, Brasile, Corea del Sud, ma a breve anche Indonesia, Messico, Turchia, Vietnam e Russia) non sono affatto disposti a giocare contro di noi con noi come arbitro.
La globalizzazione ha portato il ventro fresco del libero mercato anche nel Vecchio Continente, che si scopre sempre più marginale ed impotente. E, tra tutte le nazioni del Vecchio Continente, la più impreparata ad affrontare le sfide del futuro è proprio l'Italia.
I manifestanti dicono che questo è "inaccettabile". Ma inaccettabile che? E' un fatto che l'Italia stia declinando, potete pure battere la scarpa sul tavolo come Kruscev e mettervi a piangere, ma non cambierete la realtà dei fatti.
Al contrario, i fatti vanno "accettati" il prima possibile perché solo prendendone atto si può tentare di mettere in atto delle contromisure efficaci (più mercato, più competizione, meno privilegi).
Ma chiaramente non è questo ciò che interessa la sinistra estrema: loro vogliono giocare con le regole vecchie, mentre il mondo è già passato a regole nuove, e non si capacitano di come mai questa volta le cose non stiano andando come vogliono loro.
Ma poi, perché sarebbe "inaccettabile" che l'Italia vada a picco mentre per decenni ci è parso normale che messicani e brasiliani (tanto per fare due esempi) fossero poveri straccioni morti di fame? Non notate il fondamentale razzismo di tutto questo? Il non voler accettare per noi quel che in altri momenti storici è valso per gli altri? E poi l'egocentrisimo di questa affermazione: il mondo globalizzato se ne frega se l'Italia, penisola minuscola di 60 milioni di pezzenti, ha dei problemi economici.
Il mondo là fuori può benissimo fare a meno di noi: siamo noi che ormai (come mercato) non bastiamo più a noi stessi e quindi siamo noi ad avere bisogno del resto del mondo. E no, esportare pizza, mafia e mandolino (i nostri tre principali prodotti da esportazione, se continua questo andazzo) non sarà la soluzione ai nostri problemi.


Insomma, la "gente" si lamenta di non avere un futuro. Lo capisco bene, neanche io ho un futuro.
Ma non pretendo che sia un diritto averlo: il futuro ce lo si deve costruire (anche in USA è un diritto la ricerca della felicità, non la felicità in sé!), se i nostri genitori ci hanno illuso che il futuro fosse gratis, be', si sbagliavano e di grosso anche. Alla fine qualcuno paga sempre [***].

Oggi, va detto, sono scesi in piazza non solo i privilegiati (quelli col posto fisso), ma anche i precari che aspirano al posto fisso.
Ma concettualmente non fa differenza: non esiste alcuna differenza tra forma mentis di un privilegiato e quella di un paria che aspira ad essere privilegiato.
Il salto di qualità sarebbe aspirare ad una posizione consona ai propri meriti (se ci sono), mentre qua la gente sembra pretendere una posizione consona ai propri bisogni. Non è la stessa cosa.

La polemica di questi giorni su scuola ed università del resto è da manuale: precari che vogliono essere assunti in quanto precari, anche se in realtà di loro non c'è alcun bisogno. Gente che ha confuso il servizio pubblico con un erogatore automatico di stipendi a pioggia.
Una seria riforma del "sistema Italia" (se mai verrà tentata) non potrà che passare da una riforma prioritaria del pubblico impiego, introducendo la possibilità effettiva di licenziare chi non lavora (e sono tanti).


Ennio Flaiano disse una volta che "i fascisti si dividono in due categorie: i fascisti e gli antifascisti".
Allo stesso modo, oggi bisognerebbe dire che i lavoratori si dividono in due categorie: i lavoratori e i non-lavoratori.

Chi è sceso in piazza oggi, in buona fede o meno, ha difeso gli interessi di chi si approfitta delle carenze del sistema per prendere uno stipendio senza lavorare, gravando così sui pochi che si fanno carico delle mancanze di tutti.

Complimenti.



* Dimenticando, come al solito, che semmai sono i sindacati stessi a violare la Carta (art. 39) non accettando di farsi registrare. Il che ha ovvi motivi: per registrarsi dovrebbero dotarsi di statuti democratici (incompatibili con la mentalità "io copro te e tu copri me" che serpeggia in CGIL) e contarsi al proprio interno, mostrando così a tutti che i numeri immani sbandierati non hanno alcun fondamento.

** Ad ennesima conferma che tra la nostra "destra" mignottara e la nostra sinistra ultra-sindacalizzata le differenze sono minime. 
Non è un caso che oggi i primi avversari del berlusconismo siano Fini e Marcegaglia (entrambi vittime dei linciaggi mediatici dei quotidiani del Presidente del Consiglio), persone che di certo non provengono dall'area del sindacalismo o della sinustra militante.

*** Nel caso dei baby boomers, il conto del loro futuro lo ha pagato quella parte del mondo tenuta fuori dal mercato globale e lo pagano i giovani di oggi su cui si scaricano tutte le voragini nel bilancio del welfare state.

lunedì 11 ottobre 2010

Anche il tempismo conta...

... e il solito Silvio Berlusconi decisamente non ce l'ha.

Appena il tempo di accogliere il premier cinese Wen Jiabao e tessere le lodi dell'autoritarismo cinese, che in manco 24 ore il comitato per il Nobel in Norvegia assegna il premio per la pace ad un dissidente che sta pagando col carcere la sua opposizione alla dittatura.

Ora, la questione è semplice: il prodotto interno lordo della Cina questa estate ha superato quello del Giappone, e il paese sembra avviato a scalzare gli USA dal ruolo di potenza dominante.

Ciò detto, l'Italia in quanto (imperfetta) democrazia liberale non può permettersi di tessere le lodi di un establishment politico che non rispetta né il diritto né la democrazia.
Se lo si fa, si dà una sponda ideologica alle più spregevoli dittature.

Capisco che non sia da tutti avere le palle di criticare apertamente la Cina, va bene.
E nessuno chiede ad un codardo nato come il nostro Presidente del Consiglio un atto del genere, non sarebbe in linea con la sua biografia umana e politica. Lasciamo pure alla commissione per il Nobel l'onere di questi gesti coraggiosi.
Ma almeno il silenzio, dio benedetto, almeno quello sarebbe dovuto.

domenica 10 ottobre 2010

Affamare la bestia

Chiarito che l'università italiana mediamente non prepara a nulla ed è solo un esamificio ad uso e consumo dei baroni, ben vengano i tagli.

Anzi, quelli della Gelmini non sono abbastanza: l'università italiana va affamata, al punto che possano sopravvivere solo quei gruppi di ricerca con le palle che sanno intercettare fondi non statali (dai privati, o dai bandi di ricerca europei o di altri enti).
Solo così si può sperare, tra una ventina d'anni, che all'università ci sia davvero gente seria e competente: la selezione verrà fatta dal necessario pensionamento di tutte le mandrie sessantottine di assunti e dalla morte per inedia di quei gruppi di ricerca che non fanno niente.

Chiaramente l'intero establishment si sta mobilitando contro tutto questo:
  1. i baroni non vogliono perdere il loro potere o essere valutati per la ricerca che davvero producono; 
  2. i ricercatori temono la fine delle loro possibilità di carriera, che sono legate a quanto sono servili nei confronti dei suddetti baroni; 
  3. gli studenti seguono come un gregge, timorosi che una università selettiva e non più di massa possa mettere fine alla bella vita dello studente fannullone e bamboccione.

martedì 21 settembre 2010

Breve comunicazione di servizio

Se volete capire perché il welfare europeo è condannato, leggetevi questa.
Il comunismo è morto 20 anni fa, ma anche la socialdemocrazia sta tirando le cuoia.
Il concetto di responsabilità è stato bandito, deve esserci sempre un ente esterno responsabile di tutto.

Nei paesi più avanzati questo ente c'è ancora, ma idiozie come questa (e molte altre, le elezioni svedesi lo confermano) lo stanno uccidendo.
In Italia lo stato assistenzialista assiste sempre meno, ma viene comunque sempre tirato in ballo perlomeno come scusante (link) per tutte le mancanze dei singoli.

giovedì 19 agosto 2010

La strategia che conduce alla sconfitta: il declino della sesta potenza industriale

Per anni ci hanno bombardato in Tv con frasi del tipo "le PMI sono un punto di forza, sono più flessibili e fanno prodotti più di qualità" oppure "il made in Italy ci salverà, è un marchio rispettato nel mondo": tutte balle.
Le PMI mancano della possibilità di mettere in atto economie di scala e quindi sono sempre più deboli in un mercato globale: potevano sopravvivere quando il mondo consumista finiva a Trieste, ora sembrano dei dinosauri, come un artigiano con accanto il Walmart. Questo declino delle PMI si vede ad ogni livello, dai produttori di scarpe alle firme legali che stanno perdendosi il business di cause generato dall'impetuosa crescita economica in Cina (la Cina ha fame di cause legali, per lo più di diritto societario, ma l'Italia che ha tanti avvocati come Francia, UK e Germania messi assieme non riesce ad esportarli).

Ed anche il tanto sbandierato "valore aggiunto della nostra produzione" in larga parte è una balla: magari valeva venti anni fa quando si iniziò ad accusare i cinesi di "saper solo copiare" [1], oggi si sono presi il nostro "know how" e dalla loro hanno i numeri di 300 milioni di middle class e un mercato potenziale di dimensioni continentali.

Ci siamo illusi che la crescita economica dell'Asia significasse questo: "l'Asia produce, ma le teste pensanti restano occidentali".

Che è un po' come dire che l'asiatico è scemo mentre invece l'europeo/americano è furbo: ovviamente non è così, ed in Asia si sta ovviamente spostando anche la progettazione e la direzione strategica.
Del resto, non era credibile che lo sviluppo dell'Asia fosse diretto da milioni di occidentali con "competenze strategiche" ma privi di competenze tecniche: siamo come un esercito in rotta fatto solo di generali a quattro stelle e senza sottufficiali né soldati.

Questo ha un riscontro anche nelle scelte di studio dei ragazzi: per un ventennio (1990-2010) è sembrato che tutti si preparassero al solo scopo di diventare manager, dirigenti, alti funzionari e strateghi dell'economia [2].
Non c'è ovviamente modo di assorbire tutte queste mandrie di "grandi stateghi"; ed anche l'Asia che cresce non se ne fa di niente visto che, non essendo popolata dai bruti "buoni-solo-a-copiare" come i razzisti di casa nostra sostengono [3], ha a casa proprie le risorse umane per provvedere da sé alla gestione strategica del suo sviluppo economico.

Forse solo ora ci si sta un po' svegliando da questo sogno senza senso, ma c'è da chiedersi se forse non sia troppo tardi per larga parte delle nuove generazioni: questa è l'altra faccia del precariato di cui ho parlato nel precedente post.
Il preceriato ha scaricato sui giovani tutte le responsabilità delle generazioni precedenti, le PMI si sono illuse di poter mantenere il loro modello di business in un mondo che cambia radicalmente (il PIL cinese eguaglierà quello USA nel 2030 e per il 2050 lo doppierà!) ed i giovani si sono affidati alle false speranze di un sogno che non ha alcun contatto con la realtà.
Questo mentre in Asia la gente si dà da fare, si rimbocca le maniche, manda i propri figli in politecnici dalla selezione durissima (roba che da noi manco alla Normale) e vede il proprio tenore di vita salire di giorno in giorno.

Anni fa speravo in un declino morbido per questo paese.
Oggi mi pare che la caduta sarà brusca e dolorosa non solo per l'Italia (che, come sempre, è all'avanguardia quanto a degenerazioni dell'Occidente, Fascismo in primis) ma per tutta quella parte del mondo che va da Berlino a Los Angeles.


[1] La stessa pretesuosa accusa era stata mossi negli anni '50 e '60 già ai giapponesi, accusati di "saper solo copiare la tecnologia occidentale" (e tedesca in particolare): poi si è visto come è andata, con Toyota primo produttore di auto al mondo. La realtà è che quando uno ha tanto entusiasmo e voglia di fare, ma manca di competenze, deve pur partire da qualche parte ed i primi passi si fanno per imitazione. Poi, imparati i rudimenti, ci si metterà del proprio.
Questo è ciò che hanno fatto i Giapponesi e ciò che stanno facendo i cinesi.

[2] Come spiegare altrimenti il boom di corsi di laurea come Scienze Politiche? Hanno creato perfino una laurea in "relazioni internazionali e risoluzione di conflitti", il cui unico sbocco sensato ovviamente è una carriera diplomatica a dirimere importanti conflitti geopolitici. Uau. Peccato che ovviamente di posti del genere se ne liberino due ogni dieci anni e che i laureati in questa roba siano decine di migliaia l'anno.

[3] Il solito magico duo LegaNord+sindacati, uniti nella pratica dello "smerdo" del diverso da sé.

mercoledì 18 agosto 2010

Il Lavoro in Italia

  • L’Italia è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro. (art.1)
  • La Repubblica riconosce a tutti i cittadini il diritto al lavoro e promuove le condizioni che rendano effettivo questo diritto. (art.4)
La nostra "Carta" ci informa che abbiamo il diritto-dovere di lavorare e che la Repubblica ci garantisce questo diritto. Uau.
Ovviamente però sono tutte balle: la Costituzione, per quel che vale, può pure sostenere che il Sole ruoti attorno alla Terra e che la materia sia composta di soli quattro elementi (acqua, aria, fuoco e terra, così facciamo contenti pure i cazzoni new-age), ma questa affermazione non renderebbe tali vaccate meno false.
Allo stesso modo per il "diritto al lavoro": possiamo pure ammantarci di comunistissima presunzione ed enunciarlo come un grande progresso dell'umanità, ma la realtà è che il diritto al lavoro non c'è e non può esistere.

Esiste però il diritto del lavoro che è ciò di cui mi occuperò in questo post.
I soggetti che hanno contribuito ad arrivare al diritto del lavoro che c'è oggi sono molti, ma i principali sono i sindacati e la sinistra, poiché da sempre queste due entità (ben definiti i sindacati, più vacua ed etera la cosiddetta "sinistra" politica) si sono fatte portavoce dei problemi del mondo del lavoro.

Una prima considerazione: nel 1996 il mercato del lavoro era ingessato e le nostre imprese stavano perdendo di competitività sui mercati internazionali.
Vi ricorda qualcosa? Sono passati 14 anni ed i problemi sono rimasti gli stessi, sebbene la situazione sia comunque cambiata: per ridare ossigeno ad un mercato del lavoro asfittico, il governo di allora (Prodi I) aveva davanti due opzioni.

La prima, ridiscutere l'intero sistema di relazioni lavorative.
Si tratta(va) ovviamente di un progetto ambizioso, come tale ovviamente da scartare a priori in un paese come il nostro.
Un contratto di lavoro è per prima cosa un contratto, cioè un accordo tra privati. Ciononostante non è disciplinato dal diritto privato perché il legislatore, riconoscendo la funzione sociale del lavoro, è intervenuto pesantemente per regolarlo.
Se le intenzioni erano sacrosante (limite all'orario di lavoro, obbligo di misure di sicurezza, ecc) alcuni sviluppi di questa regolamentazione (legge 300 del 1970) sono stati oggettivamente eccessivi [1]: mi riferisco in particolare alla virtuale non-licenziabilità del lavoratore anche qualora il suo comportamento o rendimento sul lavoro fosse mediocre. Certo, si può licenziare per "giusta causa" o per "giustificato motivo soggettivo", ma come tutti sanno percorrere questa strada è quasi impossibile visti i tre gradi di giudizio e l'attivismo dei sindacati sempre pronti a difendere anche l'indifendibile. Di fatto, quando una grande ditta con più di 15 dipendenti assume a tempo indeterminato qualcuno, di fatto se lo sposa senza la possibilità di poter mai più divorziare.
E' una "tutela totale" con obbligo di reintegro per il dipendente licenziato: non ha pari in tutto il mondo occidentale (con la possibile eccezione della Francia, dove però i provvedimenti disciplinari contro i lavoratori sono ben più severi che da noi) ed i sindacati che vevano spinto per ottenerla ribattezzarono impropriamente la legge 300 del 1970 "Statuto dei Lavoratori", come se fosse una costituzione a parte superiore alle leggi ordinarie.
Ovviamente, dopo 35 anni di questa legge e quasi 30 di alternanti crisi economiche che hanno messo fine al "miracolo italiano" del dopoguerra, un simile sistema mostrava tutte le sue mancanze. Andava ridiscusso, e l'allora ministro Tiziano Treu aveva tutta l'intenzione di farlo.
L'unico problema, era che la controparte del governo non aveva la minima intenzione di stare a discutere: lo "Statuto" non si poteva toccare. Come sempre la triade sindacale italiana si dimostra aperta al nuovo ed immersa nella modernità.

Ecco quindi la seconda soluzione possibile (quella che si è poi attuata): svuotare lo "Statuto" di ogni significato per chi entra nel mondo del lavoro, ma lasciando in piedi tutte le garanzie per chi c'è già dentro.
I sindacati amano definirsi "rappresentanti dei lavoratori" ma a parte questa becera retorica di stampo leninista, sono di fatto solo e soltanto rappresentanti dei loro iscritti: accettarono quindi di buon grado la legge 196 del 1997 perché non avrebbe toccato i propri iscritti ma sarebbe andata a gravare solo sulle "nuove leve".
Nuove leve che non avrebbero avuto le tutele dello "Statuto" ma che, non essendo protette e rappresentate da nessuno, potevano ben essere caricate di tutti i guai causati da chi li aveva preceduti.
E così estato: la legge Treu inventa nuove tipologie di lavoro precario (es: interinale), ma soprattutto amplia la figura del parasubordinato per eccellenza (che prima era relegata solo ad alcuni ristretti ambiti), il collaboratore coordinato e continuativo, al secolo il co.co.co.
Il co.co.co. di Treu fa esattamente quel che faceva prima un lavoratore tutelato dallo "Statuto" ma senza alcuna delle precedenti garanzie:
se si ammala non viene pagato;
se va in maternità non viene pagato;
se va in ferie non viene pagato;
può essere licenziato in ogni momento e non c'è per lui nè cassa integrazione nè mobilità (gli "ammortizzatori sociali");
non ha diritto al TFR ed alle aziende costa un terzo in meno in termini di contributi pensione (il che significa che vedrà anche un terzo in meno di pensione, quando sarà vecchio). 
L'uovo di Colombo!
La disciplina del co.co.co. è stata leggermente modificata dalla cosiddetta "Legge Biagi" (legge 276 del 2003) che dà qualche minima tutela in più e chiarifica meglio il ruolo del collaboratore che diventa "collaboratore a progetto" (per gli amici co.co.pro.): il co.co.pro. deve avere un progetto ed è libero dal vincolo di subordinazione, cioè può realizzare il progetto a modo suo senza essere "eterodiretto" (cioè senza che un capo gli dica come deve fare per filo e per segno, basta ottenere gli obiettivi prefissati).
Sulla carta sarebbe tutto fantastico se non che nei fatti il progetto non c'è quasi mai ed il co.co.pro. è trattato come un dipendente ed assogettato agli stessi controlli ed agli stessi orari dei lavoratori subordinati, che però a differenza di lui sono protetti dal licenziamento ed hanno diritto a ferie, malattia, maternità.

Come si capisce al co.co.co. ed al co.co.pro. l'intero "Statuto dei Lavoratori" diventa inapplicabile: in quanto "collaboratori" non sono dei dipendenti veri e propri bensì sono accomunati ai lavoratori autonomi e di fatto privi di tutele.
Cornuti e mazziati, in un certo senso: tutti gli oneri del lavoratore autonomo e tutti gli oneri del lavoratore subordinato.
I sindacati cosa hanno fatto per opporvisi? Nulla, ovviamente. Questi sono contratti per "gente non sindacalizzata", per "giovani", e come tali assolutamente insignificanti per le solite CGIL, CISL e UIL.
Non a caso, l'ultima grande mobilitazione sindacale, voluta da Cofferati della CGIL nel 2002, non è stata affatto contro il precariato che già c'era, bensì per preservare l'articolo 18 dello "Statuto" (quello che garantisce la non licenziabilità) per chi ha il posto fisso.
Allo stesso modo la sinistra politica: clamoroso il caso della raccolta di firme per un referendum che vuole estendere la non licenziabilità anche ai dipendenti di ditte con meno di 15 persone [2], ma che nulla vuole dare a chi vive di precariato senza tutele.

Questa situazione nel tempo ha avuto alcuni interessanti sviluppi [3], ma si possono già trarre le naturali conclusioni:
  1. Chi entra nel mercato del lavoro oggi troverà solo precariato, scontando così le colpe di chi lo ha precedeuto.
  2. Il sindacato ha premuto per trasformare i privilegi in diritti: la non-licenziabilità ha creato problemi alle aziende che adesso ricorrono ad altre tipologie di assunzione prive di alcuna tutela.
  3. Ma un privilegio si differenzia da un vero diritto per la sua durata: un vero diritto ha una sua portata universale e si può ragionevolmente sperare di poterne godere anche tra un secolo.
    Il privilegio ha il "fiato corto" perché trae la sua forza dalla potenza della corporazione che ottiene tale privilegio, e finisce coi membri di tale corporazione.
    Un privilegio, ad esempio, è che i bianchi quando salgono sull'autobus facciano alzare i negri che cedono loro il posto.
  4. Siamo quindi passati da un situazione iper-tutelata (per i vecchi, per chi è già "dentro" il sistema del lavoro) ad una completamente de-regolata (per i giovani che entrano ora).
  5. Il sindacato non ha scopi ecumenici o universalisti [4], bensì di tutela dei suoi iscritti.
    Il sindacato protegge come una corporazione gli individui che hanno la tessera del sindacato, non è interessato a difendere i lavoratori in quanto tali, ma solo i lavoratori sindacalizzati.
  6. Vie alternative che comportassero una ridiscussione globale delle garanzie di tutti sono state evitate per non scontentare i sindacati da parte di tutti i governi dal 1996 ad oggi.
    Che lo abbia fatto Tiziano Treu in un governo appoggiato dai comunisti è in un certo senso comprensibile, che anche i governi Berlusconi (che tanto sbandiera una presunta "rivoluzione liberale") abbiano seguito la stessa rotta è un affronto alla politica. Ha fatto più liberalizzazioni Bersani in due anni (governo Prodi II, 2006-2008) che Berlusconi in nove.
  7. Tutte questa "flessibilità" che è stata immessa nel mercato del lavoro non ha salvato l'Italia da 13 anni di stagnazione economica.
    Il mercato del lavoro è flessibile in ingresso ma sconta ancora il peso dei lavoratori con contratto "a vita".

E quindi? La nostra sinistra è il male incarnato ed i sindacalisti gli araldi delle tenebre? Sì, ma non è solo questo. Magari fosse solo questo.
La cosa peggiore, forse, è la realtà del nostro sistema produttivo fatto di piccole e medie aziende che sono sempre più incapaci di garantire lavoro e profitti.
Solo una grande azienda come FIAT ha la forza di andare dai sindacati, prenderli per la collottola e dire loro: "belli miei, o mi garantite che i vostri lavoratori lavorino davvero e producano x vetture nel tempo y, oppure vi lascio in pasto ai vermi".
Ma di FIAT ce n'è una sola ed a meno che questa nuova ottica basata sulla produttività non riesca a fare breccia nel mondo del lavoro italiano, dobbiamo aspettarci il solito pericoloso "inciucio" di connivenze tra sindacalismo ed imprenditoria che penalizza la competitività italiana nel mondo. La strada seguita da decenni a questa parte, con il mantenimento della "pace sociale" ad ogni costo, ha solo generato mostri come il precariato, il lavoro nero e la disoccupazione permanente per centinaia di migliaia di persone [5].
Le nostre PMI non solo non hanno la forza di imporre concorrenza e produttività, ma stanno anche perdendo le opportunità della globalizzazione e dell'ascesa di nuove potenze economiche come i BRIC (Brasile+Russia+India+Cina).
Ed anche se in Italia il mercato è viziato da connivenze e sotterfugi, a livello internazionale si vede sempre più come l'Italia sia destinata (a meno di un improbabile e drastico cambio di rotta) ad una marginalizzazione sempre maggiore.




[1] Ne è dimostrazione il fatto che vincoli come la "durata eterna" del rapporto di lavoro sono stati aboliti quando sono state create le figure di "lavoro flessibile", ovverosia precario.

[2] L'art.18 della legge 300/1970 garantisce il reintegro al lavoro per chi viene licenziato in aziende con più di 15 dipendenti e garantisce un rimborso per chi viene licenziato in ditte più piccole. Tutte le latre tutele previste dalla legge 300/1970 sono uguali per tutti i lavoratori subordinati.

[3] In particolare, il diffondersi del cosiddetto "stàge": non un rapporto di lavoro ma un tirocinio.
Può essere pagato o meno, non dà alcuna tutela e può essere interrotto da ambo le parti in ogni momento.
Era stato pensato come prima tappa per imparare un mestiere, è diventato nella pratica un modo per avere a disposizione dipendenti gratuitamente o per rimborsi spese minimi (in genere da 0 a 500 € il mese). 
Si tratta della naturale evoluzione del co.co.pro.: come quest'ultimo è in realtà un lavoratore subordinato inquadrato come lavoratore autonomo, così lo stagista è un lavoratore subordinato inquadrato come non-lavoratore.

[4] Questo lo si vede anche quando una azienda come Fiat vuole delocalizzare la produzione in Serbia o in Polonia: il sindacato italiano protegge i suoi iscritti italiani, non è minimamente interessato al fatto che per i lavoratori serbi e polacchi un lavoro in Fiat possa rappresentare una grande occasione di crescita.
Questo in barba a tutta la retorica sindacale di matrice marxista: il sindacato oggi è forse una delle associazioni più razziste che esistano in Italia, e non deve quindi affatto sorprendere che gli elettori della Lega Nord abbiano in tasca la tessera della CGIL. 

[5] Curioso come la "pace sociale" sia un concetto totalmente estraneo al marxismo e più tipico delle politiche sociali della Chiesa Cattolica: per Marx i mutamenti dei rapporti di forza economici generano sempre dei conflitti sociali, anche violenti, e chi ha letto il Manifesto o il Capitale non potrà che rimanere sbalordito nel sentire con quanto ardore il filosofo di Treviri esalta i successi e lo spirito dinamico della borghesia imprenditoriale.
Tutto questo manca completamente al nostro sindacato, arroccato com'è nella difesa reazionaria dei privilegi dei vecchi e nella nostra sinistra che mira al mantenimento di uno status quo sempre più insostenibile.



lunedì 9 agosto 2010

Panebianco e la "democrazia plebiscitaria"

Angelo Panebianco in un editoriale sul Corriere della Sera (link) analizza lo scontro politico degli ultimi 20 anni come una lotta tra tre idee di democrazia:
  1. la "democrazia plebiscitaria" incarnata da Berlusconi sulla scia di De Gaulle;
  2. la "democrazia acefala" voluta dal centro-sinistra e dai custodi della "tradizione" (secondo Panebianco: intellettuali e magistratura);
  3. la "democrazia federalista" voluta dalla Lega.
Come sempre questi discorsi fumosi appaiono molto sensati fino a quando non ci si mette un attimo a pensare e si va a vedere se questi giudizi hanno davvero una corrispondenza con i fatti, che sono l'unica cosa che conta.
Hanno corrispondenza coi fatti?
A parer mio no, e vediamo perché.

Che Berlusconi avesse in mente un rafforzamento dei poteri dell'esecutivo è un falso: ne ha avute svariate occasioni, non ultima la famosa Bicamerale di D'Alema, e le ha volutamente fatte fallire tutte (perché in quel momento al governo non c'era lui).
La realtà è che Berlusconi non ha alcun interesse al presidenzialismo di per sé.
Di volta in volta ha cambiato opinione in modo da adattarsi al suo proprio successo elettorale: ad esempio, dalle elezioni che ha vinto nel 2008 fino ad oggi, con 100 onorevoli di maggioranza parlamentare, il tema del presidenzialismo è stato bandito. Perché questo? Ma è semplice: perché Berlusconi con una maggioranza parlamentare così schiacciante non ha più avuto bisogno di rafforzare l'esecutivo, cioè sé stesso.
Tutta l'azione di Berlusconi è volta a garantire potere per sé, non per la carica che rappresenta.
Quando il generale De Gaulle divenne Presidente di Francia volle rafforzare i propri poteri esecutivi davanti alla manifesta incapacità del sistema parlamentarista della Quarta Repubblica di risolvere la questione algerina. E lasciò la politica a metà del II mandato, nel '68, dopo una schiacciante investitura popolare (che Berlusconi, in Italia, non ha mai avuto).
Questo marca la differenza tra uno statista (che lascia una eredità politica alla sua nazione) ed un approfittatore (che prende quel che può lasciando il vuoto dopo di sé).

Altrettanto vacui mi sembrano le questioni sulla "democrazia federalista": la Lega Nord è stata al potere, finora, per grosso modo 10 anni, e quel che ha saputo partorire è giusto una legge sul federalismo fiscale, una legge ordinaria che qualunque futura legislatura potrà abrogare con una semplice votazione a maggioranza.
Decisamente poco per salvaguardare gli "interessi del Nord": la realtà è che la Lega Nord non ha alcun interesse nel federalismo vero e proprio, perché se venisse realizzato diventerebbe manifesto il vuoto di idee di quel partito.

Ed anche identificare il centro-sinistra con l'araldo della "democrazia acefala" è abbastanza discutibile: chi se non D'Alema era favorevole al premierato? E chi ha azzoppato quella riforma se non Berlusconi?

Il cantastorie Panebianco racconta una fantasia che diverge dalla realtà, come i fumetti di supereroi.

domenica 8 agosto 2010

La legge elettorale

Cosa si chiede ad una legge elettorale? Forse troppe cose...
  1. Si chiede di rispettare la volontà popolare, cioè di essere democratica.
    Così, se un partito prende il 51% dei voti, non può essere rappresentato (per dire) da solo il 30% degli eletti in Parlamento.
  2. Si chiede di garantire maggioranze stabili, in modo tale che se un partito ha il 49% dei voti e tutti gli altri magari non arrivano al 10%, quello col 49% possa governare in santa pace.
  3. Si chiede di ridurre la frammentazione politica, impedendo ad esempio che entrino in Parlamento partiti che hanno preso meno del 3% dei voti popolari.
Molto bene, chiariamo subito una cosa: una legge elettorale che soddisfi tutti e tre questi punti semplicemente non esiste. E non può esistere.
E' un problema che non ammette soluzione.
Ma può ammettere dei ragionevoli compromessi.

Analizziamo l'attuale legge elettorale, il cosiddetto "porcellum" voluto da Roberto Calderoli della Lega Nord nel 2005 poco prima delle elezioni che daranno una risicatissima maggioranza al governo Prodi II.
Il "porcellum" è una legge elettorale proporzionale con premio di maggioranza e soglia di sbarramento; vediamone le caratteristiche più aberranti:
  1. Nello specifico prevede che il cittadino voti per delle liste bloccate, pre-compilate dai partiti politici, senza poter esprimere la preferenza per alcun candidato.
  2. Ogni coalizione deve presentare il proprio candidato alla presidenza del Consiglio dei Ministri.
  3. C'è una soglia di sbarramento, fissata nel 2% per i partiti raggruppati in coalizioni e nel 4% per quelli che corrono da soli.
  4. Viene dato un "premio di maggioranza" alla coalizione o al partito di maggioranza relativa, che vede incrementare la propria presenza alla Camera fino al 55% dei seggi. Al Senato il premio di maggioranza è su base regionale.
 Cosa produce tutto questo? Analizziamo la legge in base ai tre punti elencati all'inizio:
  • Si rispetta la volontà popolare?
    La legge attuale dà il 55% dei seggi alla coalizione che ha la maggioranza relativa, ma questo significa che anche una coalizione che abbia solo il 20% dei consensi può ottenere un "bonus" del 35% dei seggi, a patto ovviamente che le altre coalizioni arrivino al massimo al 19%.
    Questo ovviamente altera completamente il voto degli italiani, perché viene dato un opremio di maggioranza potenzialmente enorme alla coalizione più grande ma comunque minoritaria.
    Quel che è peggio, non c'è nessuna logica nel fissare la soglia al 55%. Cosa ha di speciale questo numero? Perché non al 51%? O al 59%? O all'80? Qual è il criterio democratico dietro questo gioco di numeri?
    Ovviamente nessuno: il voto degli italiani viene alterato come fosse carta straccia, dando seggi "bonus" per cui i cittadini non hanno mai votato.

    La volontà popolare è quindi calpestata completamente [1] ed un paio di figure possono aiutare a sincerarsene.
    Il grafico qua sotto rappresenta un caso ipotetico con 11 partiti idenficiati dal colore, in base alla percentuale effettiva di voti ottenuti (totale=100).






    Cosa si vede? Abbiamo 2 partiti minori, il blu col 2% dei voti ed il giallo scuro col 3%, gli altri 9 partiti sono tutti molto vicini tra loro tra il 10 e l'11%.
    Ora, il partito blu ed il partito arancio si apparentano tra loro e formano una coalizione: insieme fanno il 12% dei voti che è più di ogni altro partito presente, visto che al massimo gli altri partiti arrivano singolarmente all'11%.
    Questa qua sotto è la Camera dei deputati che otteniamo:






    Insieme arancio+blu fanno la maggioranza relativa (12%) dei voti ma col premio di maggioranza si ripartiscono ben il 55% dei seggi.
    In particolare, il partito blu che era il più piccolo in termini di voti effettivi (appena il 2%) diventa il secondo partito alla Camera con più del 9% dei seggi.
    Il partito arancio, che non era il primo partito in termini di voto popolare (10%) diventa il primo in termini di seggi con più del 45% dei seggi, un premio di maggioranza che fa aumentare la sua consistenza numerica del 350%.
    Di contro, il partito giallo scuro col 3% dei voti non entra in Parlamento (ma aveva più voti del partito blu che è diventato il secondo, per numero di seggi) ed i partiti che avevano l'11% dei voti (il massimo, erano 5 a parimerito tra loro) prendono appena il 6% dei seggi nonostante avessero ottenuto più consensi popolari del partito arancio che però è il più rappresentato alla Camera.

    In tutto questo, viene da chiedersi: la volontà popolare è rispettata?

  • Ma almeno, le maggioranze sono stabili?
    Neppure. Lo si è visto con l'esperienza del centrosinistra, che non ha avuto la maggioranza al Senato se non per due seggi.
    Come mai si crea instabilità nonostante il generoso premio di maggioranza?
    Perché se alla Camera il premio di maggioranza è nazionale, al Senato è dato su base regionale. Il che vuol dire che al Senato una coalizione può prendere il "bonus" in Lombardia ed un'altra prenderlo in Emilia, arrivando alla fine ad un risultato medio per le 20 regioni italiane che può essere molto diverso da quello della Camera.
  • Ma la frammentazione politica viene ridotta?
    E' stata ridotta, ma non grazie alla legge elettorale quanto per la volontà politica di Veltroni e Berlusconi nel 2008.
    Il "porcellum" infatti prevede una soglia di sbarramento di appena il 2% per i partiti apparentati in coalizioni. Si tratta di una soglia davvero molto bassa, meno della metà di quella presente nella legge elettorale tedesca (si tratta anch'essa di un proporzionale, ma ovviamente senza l'assurdo "premio di maggioranza") che è del 5%.
    La frammentazione politica si è effettivamente ridotta ma unicamente perché nelle elezioni del 2008 i due partiti maggiori (PdL e PD) si sono rifiutati di stringere molte delle precedenti alleanze lasciando i partiti minori fuori dalle loro coalizioni.
    Questo è quel che è avvenuto per decisione politica di Veltroni e Berlusconi, ma già adesso si sente ormai parlare di mega-coalizioni di centro-sinistra che vadano dai democristiani di Casini fino al comunisti radical-chic di Vendola: in questa eventualità la frammentazione politica tornerebbe a condizionare tutto.
Quindi in sostanza la legge "porcellum" voluta da Calderoli e Berlusconi sostanzialmente fa acqua da tutte le parti, non soddisfa nessuna delle richieste che una società democratica fa al suo ordinamento.
Perché è stata scritta così, allora?
Per varie ragioni, alcune "tattiche" (cioè per scopi immediati) ed altre "strategiche" (cioè per finalità di lungo periodo).
Tra le finalità "tattiche" nel 2005 c'era la necessità, per Berlusconi, di azzoppare la "probabile" vittoria del centro-sinistra. In realtà questa vittoria non era affatto "probabile" (la coalizione di Prodi vinse alla Camera per meno di 30000 voti, ed al Senato perse nel voto popolare) e comunque era già azzoppata di suo, contro ogni previsione della vigilia.
Lo scopo strategico, invece, era quello di minare il Parlamento come supremo organo rappresentativo dello Stato: uno scopo in gran parte raggiunto. Infatti, un Parlamento in cui siedono non più degli eletti bensì della gente "nominata" dai partiti è quanto di meno rappresentativo possa esistere: l'autorità democratica dell'attuale Parlamento è dunque ai minimi termini.
Anche l'assurdo premio di maggioranza non fa che deformare quello che è il voto degli italiani.
Inoltre, parallelamente alla destrutturazione della rappresentatività del Parlamento, c'è un rafforzamento dell'autorità democratica del premier [2] attuato però per vie a-costituzionali [3].
Mi spiego meglio: il fatto che le coalizioni debbano indicare il loro "candidato premier" è sostanzialmente incostituzionale, poiché il Presidente del Consiglio non è votato dagli italiani bensì nominato dal Presidente della Repubblica. Presentarsi alle elezioni con dei candidati già scelti dalle segreterie dei partiti significa forzare la mano al Capo dello Stato.
Questo rientra alla perfezione nello schema berlusconiano: un parlamento fatto di nominati (e non più di eletti) che rispondono solo agli "ordini di scuderia" ed un premier  che di fatto è elettivo, che come tale ha una investitura democratica de facto maggiore del parlamento stesso.
Una simile creatura non si è mai vista in nessun paese occidentale, ovviamente.



[1] Gli italiani hanno votato solo due volte con leggi che prevedessero il "premio di maggioranza": la prima fu nel 1924 con la legge Acerbo, che diede una maggioranza parlamentare schiacciante al Partito Nazionale Fascista (in quanto partito di maggioranza relativa) che arrivò ad ottenere oltre il 66% dei seggi alla Camera. Si sa poi come è andata a finire.
La seconda fu nel 1953, quando la Democrazia Cristiana promulgò una legge che dava il 65% dei seggi al partito che raggiungeva la maggioranza assoluta (quindi 50% +1). Il premio non scattò mai perché nessun partito raggiunse detta soglia.
Ovviamente la legge Calderoli del 2005 è più simile alla legge Acerbo del '24 che a quest'ultima, in quanto anche con la legge Calderoli il premio di maggioranza (comunque più modesto che con la legge Acerbo) viene assegnato alla lista di maggioranza relativa, quand'anche questa maggioranza relativa sia in realtà in termini assoluti piuttosto modesta.


[2] Ci sarebbe anche da discutere sull'uso del termine "premier": in Italia, banalmente, un "Primo Ministro" di stampo britannico non esiste.
Generalmente al Primo Ministro nei regni del Commonwealth britannico sono dati dei poteri che il nostro "Presidente del Consiglio dei Ministri" non ha (ad esempio, non può far dimettere i ministri del suo stesso esecutivo, né chiedere al Capo dello Stato di tornare alle urne). Continuare a riferirsi a Berlusconi come "premier" è una forzatura linguistica cui ormai si è fatta l'abitudine ma che è costituzionalmente scorretta ed alla lunga genera incomprensioni.



[3] Berlusconi ed il suo avvocato Niccolò Ghedini parlano al riguardo di una fantomatica "costituzione materiale", cioè (secondo loro) una serie di abitudini politiche consolidate che sono assurte al rango di norme costituzionali vere e proprie.
Ovviamente questo è falso: in 16 anni di cosiddetta "seconda repubblica" non c'è stata alcuna convenzione politica che si sia consolidata, visto che gli "strappi istituzionali" sono all'ordine del giorno.
Inoltre, la via per inserire nell'ordinamento italiano delle vere norme di rango costituzionale è chiara, e questa via non ha mai portato a nessuna vera riforma in questi ultimi 16 anni (a parte le modfiche al Titolo V della Cost. nel 2001 ad opera dell'allora maggioranza di centro-sinistra).

    giovedì 5 agosto 2010

    I turisti della democrazia

    Nel dibattito parlamentare di ieri, riguardo la sfiducia al sottosegretario Cosentino, colpiscono le parole del capogruppo della Lega Nord alla Camera.

    Costui, in sostanza, sostiene che gli italiani hanno votato questo Governo, incarnato da Silvio Berlusconi, e che quindi l'unica alternativa a questo governo scelto dal corpo elettorale sia il ritorno immediato alle elezioni.

    Questo cosa dimostra? Semplice, che chi ha fatto quelle affermazioni è un mero "turista della democrazia", uno che delle regole dello stato di diritto non ha mai capiro niente e parla per il solo gusto di dare aria alla bocca.

    La Repubblica Italiana, infatti, è una repubblica parlamentare: che significa?
    Che in Italia io e voi non votiamo un Governo o un Presidente del Consiglio, no no. Noi votiamo per il Parlamento.
    Poi, una volta insediatosi, è il Parlamento a decidere se concedere o meno la fiducia ad un Governo.
    E se questa fiducia viene meno, il Parlamento può sempre concederla ad un nuovo e diverso Governo: insomma, il Parlamento è sovrano in quanto i suoi membri sono eletti direttamente dai cittadini (cui spetta la sovranità, ricordatelo).

    Il Governo non è sovrano perché i suoi membri sono scelti dal Presidente del Consiglio dei ministri il quale di per sé non ha alcun "mandato popolare" se non la fiducia del Parlamento.

    Negli USA, che sono una democrazia presidenziale, il capo dell'esecutivo (e capo dello stato) è scelto direttamente dai cittadini [1] e come tale ha davvero un "mandato popolare", e proprio per questo non può essere sfiduciato dal Congresso in quanto sia Presidente che Congresso hanno la stessa investitura popolare.

    In Francia, dopo quasi un secolo di parlamentarismo, il generale De Gaulle favorì la transizione verso un sistema più presidenzialista [2] in base al quale il Capo dello Stato (e non il capo del Governo) è eletto direttamente ed ha quindi una investitura popolare.

    In Italia, che ci piaccia o no, vige il parlamentarismo: la Lega o il PdL possono dire ciò che vogliono, ma costituzionalmente Berlusconi non ha alcun "mandato popolare" se non quello come parlamentare e la fiducia delle Camere.
    Si ama tanto cianciare di "costituzione materiale", ma chi lo fa dovrebbe ricordare che l'Italia ha una costituzione scritta proprio per evitare che delle modifiche all'assetto costituzionale avvengano tramite procedure facilitate: chi vuole cambiare la Costituzione si accomodi, servono i 2/3 dei voti in ogni camera oppure un referendum confermativo.
    Se non ce la fate a passare attraverso questo tenetevi la Costituzione che c'è senza blaterare di improbabili "costituzioni materiali".



    [1] In realtà il Presidente degli Stati Uniti viene eletto non direttamente bensì tramite un curioso "collegio elettorale" che riunisce dei "grandi elettori" a loro volta eletti stato per stato.
    Di fatto però in centinaia d'anni di democrazia americana i "grandi elettori" non hanno mai alterato l'esito delle elezioni con iniziative personaòli contrarie al mandato dato loro dai cittadini.

    [2] Il sistema francese attuale, nella "Quinta Repubblica", è "semipresidenziale" in quanto il Presidente della Repubblica è eletto direttamente ed ha alcune funzioni esecutive, oltre a poter sciogliere l'Assemblea Nazionale a suo piacimento.
    La gran parte delle funzioni esecutive però spettano al Governo vero e proprio ed a un Primo Ministro che ha bisogno della fiducia dell'Assemblea Nazionale per rimanere in carica.

    mercoledì 4 agosto 2010

    Islam e Eurabia: una prospettiva concreta?

    Risposta: No.
    Oriana Fallaci sbagliava nell'immaginare un'Europa del futuro popolata prevalentemente di arabi maomettani.
    A negare questa possibilità sono, banalmente, le statistiche: ok, la natalità dei maomettani è particolarmente elevata, ma non è sufficiente a scalzare la maggioranza indigena e nel tempo la natalità dei vari gruppi etnici va mediandosi.
    Ok, quindi non c'è nessun problema?
    Risposta: No, di problemi ce ne sono eccome, ma la sinistra radical-chic non ne vuole parlare, perché fa troppo poco politically correct (del resto, è prassi della sinistra negare l'esistenza di tutti i problemi che ideologicamente si desiderano negare). E vabbe', pace, vuol dire che dirò la mia su questo blog.

    Il problema, molto semplicemente, è quel che pensano i maomettani che arrivano qui da noi nella vecchia Europa, come agiscono e come intendono agire.

    Va fatta una premessa: l'Islam non è un blocco unico come la destra più intransigente afferma e vuol farci credere.
    Non è così nell'Iran sciita, non è così nell'Arabia Saudita dove il re finanzia le madrasse che spargono il germe salafita nel mondo, non è così neppure nella più variegata Indonesia.
    L'Islam, il pensiero che c'è dietro l'Islam non è una cosa unica ed è piuttosto un'entità complessa in divenire.
    Questo a maggior ragione qua in Occidente: un immigrato, per forza di cose, è una persona che ha preso atto che "da qualche altra parte" si sta meglio (o ci sono migliori opportunità, che sostanzialmente è la stessa cosa) che a casa sua, e si sposta di conseguenza inseguendo il gradiente di benessere; insomma, questo per dire che mediamente un migrante è comunque una persona che ha una visione un po' più strutturata della realtà.

    Quindi, chiarito che l'Islam non è una cosa sola, guardiamo quali sono le minacce che questa religione (e la cultura che essa si porta aappresso) rappresentano per l'Occidente e le nostre libertà.
    Non all'Occidente in quanto "terra cristiana" (cosa nei fatti non più vera, USA a parte) quanto piuttosto terra dove è possibile dire la propria senza essere per questo uccisi o torturati.
    Bene, va preso atto con molta correttezza che la shari'a, la legge islamica, rappresenta la tomba dei diritti e delle garanzie che sono tutelati in Occidente.
    Non c'è molto altro da dire: in base alla shari'a si possono lapidare le donne sposate adultere (con l'esplicito riferimento a fare loro del male colpendole con pietre non troppo pesanti da ucciderle sul colpo né troppo leggere da non farle soffrire), si possono uccidere i maomettani che cambiano religione o diventano atei e chi bestemmia il loro cosiddetto "dio". La shari'a prevede questo.
    Ma in che rapporto sta la shari'a con l'Islam?
    Possiamo trovare delle similitudini nel Cristianesimo? In realtà ben poche: il figlio del falegname di Nazareth, infatti, non ha lasciato ai suoi discepoli un rigido elenco di prescrizioni con relative punizioni. Con un paragone giurisprudenziale, potremmo dire che Gesù di Nazareth ha sostanzialmente lasciato un messaggio "programmatico": dice quali sono gli scopi astratti, non come raggiungerli caso per caso.
    Al contrario, la shari'a disciplina una larghissima parte della vita del musulmano che da essa non può prescindere a meno di allontanarsi dalla shari'a stessa. Laddove una gran parte del pensiero cristiano moderno si è concentrato sul messaggio di Gesù in sé e per sé, gran parte del pensiero islamico recente si interessa più a come applicare correttamente la shari'a piuttosto che perseguire un qualche nascosto progetto di Allah: Allah infatti nel pensiero islamico è per definizione "il più sapiente" e l'unico scopo del vero credente musulmano è adeguarsi alla sua volontà ed ai suoi precetti.

    Più che le mie parole può risultare illuminante sentire cosa dicono i maomettani stessi: andate su google.it, cercate la combinazione di parole forum e islamico e leggete che cosa si dicono tra loro. Fermatevi pure sul primo link, basta quello, e scrivono in italiano.
    E' illuminante: questa gente non potrà mai integrarsi in una società di tipo occidentale, non solo, ma la loro stessa presenza qui rappresenta una autentica minaccia alla nostra vita ed ai nostri diritti umani.
    Leggete: c'è quello che dice candidamente che l'unico vero stato islamico che desidera è l'Emirato dell'Afghanistan (cioè il regime dei taliban), quello che chiede come si fa a lapidare una persona e si sente rispondere che non deve porsi questi problemi ma solo eseguire il volore di Allah, quella che chiede se si può curare le unghie e le sopracciglia, quella che vorrebbe sposare un non musulmano e si sente negare il permesso, e così via.
    Questa è tutta gente "castrata": vite mutilate dalla religione, una religione forse accettata volontariamente o forse imposta da anni di consuetudini famigliari, ma che comunque dice in modo inderogabile cosa loro possono o non possono fare.
    Gente "castrata" che vuole castrare anche noi: leggete quando si lamentano che la shari'a in Italia non è ancora applicabile nella sua interezza, lapidazioni e mutilazioni incluse;
    quando sognano di poter imporre a noi non islamici la "dhimma", cioè una tassa per non essere uccisi in quanto miscredenti;
    quando dicono chiaramente che in un tribunale la parola di un miscredente non può valere come quella di un musulmano e che i miscredenti non possono avere incarichi di governo in una società islamica.

    Leggetevele queste cose, gustatevele: ce ne sono tante altre ancora, grottesche nella loro barbarie, che per motivi di spazio ovviamente non posso riportare.

    Questa gente è già qui tra noi: fanno i tassisti e i muratori oggi, faranno forse gli avvocati ed i professori domani?
    Chi lo sa. Quel che è certo è che questo pensiero, così organizzato, rappresenta una minaccia per noi già da oggi. Una democrazia si basa anche sull'accettazione da parte dei cittadini di una serie di regole di base: questa gente non riconosce affatto le regole del diritto occidentale, anzi, dice esplicitamente che non bisogna considerarle (emblematico il ragazzo che voleva diventare poliziotto e si sente rispondere dall'ulema che non può, perché in quanto poliziotto di uno stato non-islamico si troverebbe ad applicare una legge diversa dalla shari'a).

    Ed allora, cosa facciamo? Come facciamo a distinguere e discriminare gli islamici che la pensano così da quelli che sono disposti al compromesso e ad accettare perlomeno le regole di base della civiltà occidentale?
    Chi lo sa.
    Ma di certo non è negando il problema che il problema si risolve.
    Sarebbe forse una soluzione interessante far firmare a tutti coloro che vengono qua (e magari anche a coloro che qua ci sono nati), cristiani o islamici o di qualunque altro orientamento religioso, un semplice foglio in cui accettano la legge e la Costituzione italiana come supreme fonti del diritto nello stivale cui adeguarsi: chi accetta entra; chi inizia a dire che la shari'a è la legge suprema e che nulla può essere al di sopra di essa, lo rispediamo da dove viene a suon di calci nel sedere.

    L'Eurabia non è alla porte, ma il fatto che il cancro non sia maligno non significa che si debba convivere con uno meno pericoloso: meglio il bisturi.

    lunedì 2 agosto 2010

    Mamma, mamma! Voglio fare ricerca in Italia!

    Voglio qua descrivere il percorso tipico di chi vuole fare ricerca in Italia.
    En passant, una panoramica del mondo universitario visto dal lato dello studente.

    (0) Premettiamo che il sistema scolastico italiano non fa alcuna selezione: buona parte dei diplomati di 18/19 anni che escono dalla scuola e si tuffano nell'Università sono semianalfabeti.
    Non lo dico io (io sono un signor nessuno), lo dicono le statistiche ed i giornali: 1, 2.
    Diciamo quindi che questi baldi giovani non sono stati sottoposti ancora a nessuna seria selezione, di alcun tipo.
    Tutti bravi, tutti eccellenti: peccato però che se sono tutti uguali, allora per definizione sono tutti "mediocri" nel senso letterale del termine.
    Se, inoltre, sono poveri (dalla regia mi dicono che devo dire "in famiglie a basso reddito"), lo stato garantisce loro pure una borsa di studio completamente slegata dai vostri meriti o demeriti scolastici.
    Prego accomodatersi, l'Università vi aspetta col tappeto rosso e lanci di petali di rose al vostro cammino!


    (1) I baldi giovani arrivano all'università e già qui si suddividono in base alla voglia di fare.
    Quelli che guardano più al futuro cercano di entrare a Ingegneria e Medicina: tanti provano, pochi ci riescono. Gli scarti che non riescono a passare il test di Medicina tipicamente si iscrivono ad altre facoltà di serie B tipo Biotecnologie o roba del genere, per sperare di passare il test l'anno dopo (cosa che non avviene).
    Quelli che già in partenza alzano bandiera bianca e dichiarano di non voler far niente si precipitano subito ad affollare facoltà senza sbocchi lavorativi come Lettere, Scienze Politiche e Psicologia.
    Ovviamente, ci sono quelli senza voglia di far niente che vanno a Medicina e ci sono ragazzi pieni di voglia di fare che fanno Scienze Politiche: ma diciamocelo, sono una netta minoranza entrambe le categorie.

    (2) Sostanzialmente, dopo 5-7 anni un 30% del totale degli studenti si ritira.
    A fare cosa non si sa, visto che a 23-25 anni con solo il diploma di scuola superiore si è già fuori dal mercato del lavoro.
    Il restante 70% arriverà a finire il percorso di studi (formalmente 3+2) in un lasso di tempo medio compreso tra 5 e 10 anni, con votazioni tra il 105 ed il 110&Lode.

    (3) Ovviamente, il fatto che passino tutti con voti alti significa che il merito vero non è premiato: tutti eccellenti vuol dire in realtà tutti mediocri.
    In questo modo, però, ciascuno si sente legittimato a voler intraprendere una carriera accademica: "guarda mamma, sono passato con 108 a Scienze delle Relazioni Internazionali del Katanga, è un voto alto, voglio dedicarmi alla ricerca accademica".
    Assistiamo qui ad un interessante fenomeno: l'assenza di selezione induce aspettative eccessiva in gente mediocre.

    (4) Qua però la cosa inizia a farsi problematica: per procedere nella catena dell'istruzione, serve un dottorato di ricerca.
    I dottorati di ricerca non sono dati in base a criteri meritocratici (come nulla in Italia), ma sono difficili da ottenere anche grazie a conoscenze, parentele e leccate perché sono oggettivamente pochi.
    Quindi qua il nostro baldo laureato o si accinge a leccare adeguatamente il suo docente di tesi sperando che gli sganci alla fine un posto di dottorato oppure prosegue la sua cosiddetta "formazione accademica" con un master a pagamento con annesso stàge da Auchan dove passerà sei mesi a scaricare casse in magazzino e poi gli daranno il benservito.

    (5) Lasciamo qua lo studente di master a "masterizzarsi" ad Auchan e proseguiamo col lecchino che riesce ad avere il suo dottorato di ricerca.
    Tipicamente tramite un concorso truccato in cui chi deve vincere sa già con settimane di anticipo le domande che gli faranno.
    Il dottorato consiste di tre anni durante i quali de facto non c'è alcun controllo su quello che fai e che puoi dedicare a quel che ti pare, stipendiato dallo stato a 1020 € netti il mese.
    Ora, in un posto civile 1020 € netti il mese per fare seriamente ricerca sarebbero una presa in giro: fanno circa 6 € l'ora assumendo una settimana di ricerca di 40 ore.
    Ma in Italia, dove non c'è controllo alcuno su quello che fai o non fai, significano 1020 € regalate per permettere al nostro baldo laureato di girarsi i pollici a casa o trovarsi un'altra attività più reminerativa.
    Ad esempio, buona parte dei dottorandi in materie letterarie in realtà insegna o dà ripetizioni, attività in teoria vietate per un dottorando che dovrebbe dedicarsi a tempo pieno alla ricerca.

    (6) Alla fine dei 3 anni il 99% degli studenti di dottorato prende il titolo indipendentemente da cosa ha fatto o non ha fatto.
    Il baldo PhD ancora non è stato selezionato se non per la sua devozione al prof.

    (7) Qui troviamo un ostacolo: per continuare nell'accademia serve una borsa post-Doc o un assegno di ricerca.
    Per entrambe le cose però niente paura, più che le capacità basta mettersi sotto l'ombrello del professore giusto, che ha finanziamenti tali da poter regalare una borsa anche a noi.

    (8) Trovare il prof. giusto non è facile, ma una volta fatto si può andare avanti di contrattino in contrattino con una produzione scientifica minima o inesistente.
    Ovviamente siamo pieni di dottorandi e post-Doc che si fanno un mazzo quadro e pubblicano molto, ma allo stesso modo c'è gente che in 3,4,9 anni avrà scritto giusto tre righe sul "gazzettino filosofico dell'Università di Monculi", ovviamente in italiano, che non legge nessuno.

    (9) Questo andare avanti di contratto in contratto può andare avanti virtualmente all'infinito, in generale termina verso i 40 anni.
    A questo punto, quelli che hanno avuto la resistenza sufficiente e sono un minimo utili per la ricerca di qualche professore abbastanza potente, riescono ad avere il posto come ricercatore a 1200 € netti il mese.
    Quegli altri, adieu!

    (10) Ciò vuol dire che un buon 90% di questi "long term survivor" ultra-quarantenni si trova d'improvviso senza stipendio/borsa e senza alcuna esperienza del mondo produttivo.
    Ovviamente, visto che in Italia il mondo produttivo ha in realtà scarsissima necessità di competenze tecnico-scientifiche avanzate.
    La selezione, mafiosa e nepotistica come da tradizione italiana, è finalmente giunta, ma troppo tardi ed ora a 40 e più anni uno ha esigenze costose e non più un reddito.
    Bello eh?


    Questo è il risultato di due mancanze tra loro strettamente legate: la mancanza di meritocrazia che si accompagna alla mancanza di selezione, se non alla fine, quando il danno è fatto.
    Infatti lo stato, la collettività e noi tutti spendiamo fior di quattrini per far studiare gente che, evidentemente, molto spesso non ha davvero nessuna intenzione di imprarae ed apprendere.
    Quelle mandrie di studenti di scuola e università, svogliati e stanchi che si trascinano da un esame all'altro sono sanguisughe che prosciugano i soldi che servirebbero a dare istruzione a chi davvero la desidera e la metterà a frutto.
    Ancora peggiore il dramma di quei post-Doc sbattuti fuori a 40 anni per ritardo di selezione: questo è proprio il colmo, molti di loro varrebbero pure, ma una selezione troppo a lungo rimandata fa saltare loro ogni possibile progetto di vita lavorativa.

    A questo siamo arrivati perché ci piace dire che tutti sono bravi, tutti sono intelligenti e tutti meritano di studiare.
    Se uno studente va male o è svogliato mica lo si boccia, no no, turberemmo il suo corretto sviluppo psicomentale: lo passiamo ugualmente alla classe dopo, perché sa, viene da una famiglia disagiata, bisogna essere comprensivi...
    Questo vero e proprio "sterco ideologico" ha contaminato tutto il sistema dell'istruzione, ed è chiaramente uno dei tanti frutti avvelenati del '68, con il suo mefitico giustificazionismo catto-comunista.
    Peccato però che il mondo del lavoro delle giustificazioni a buon mercato non se ne faccia niente: abbiamo creato una realtà "protetta" (la scuola, l'Università) ma là fuori il mondo si è fatto più cattivo e più si rimanda la selezione peggio è scontrarsi con la realtà. 
    Ma questo non lo vuole capire nessuno perché non fa comodo ad alcuno dirlo apertamente.

    Una volta c'erano contadini che recitavano Dante a memoria, ora è grasso che cola se un laureato l'ha mai sentito nominare.
    Ed allora tutti all'Università e oltre, riempiendoci la bocca di parole come "ricerca" e "sapere" che in un paese di laureati (mediamente) analfabeti sono solo parole morte e vuote.