domenica 1 agosto 2010

Cosa succede a destra?

Il Presidente della Camera, on. Gianfranco Fini, da 16 anni porta avanti un suo personale percorso politico.
In che direzione sta andando? Verso che cosa?
Chi vede i suoi inizi nell'MSI ed il suo attuale (temporaneo) approdo in "Futuro e Libertà per l'Italia" non può che dire una cosa sola: si sta spostando a sinistra da 16 anni.

Questo è senz'altro vero, è un semplice fatto: lungi dal dire che l'on. Fini sia "di sinistra", è innegabile che passare da un partito neo/post/ex-fascista come il vecchio MSI e finire in un movimento che parla di democrazia e diritti degli immigrati significa senza ombra di dubbio essersi spostati a sinistra.

Il percorso dell'on. Fini è evidente, quindi: creare, a partire da una destra dal retaggio fascista e illiberale, una destra costituzionale come può essere quella di un Sarkozy in Francia o di una Merkel in Germania.

Bene, se l'intento di per sé è lodevole, personalmente nutro delle perplessità sull'acume politico di chi dà la rotta.
Per uscire dalle secche del neofascismo e fare di AN un partito di oltre il 10% Fini ha accettato la mano tesa di Berlusconi e non l'ha più mollata fino al 2007.
Per ben 13 anni Fini ha sostanzialmente fatto da yes-man nei confronti dell'attuale Presidente del Consiglio dei Ministri; certo, Fini ha comandato in AN con pugno di ferro, ma nelle relazioni esterne con Berlusconi per 13 lunghi anni ha sempre detto sì.
Ci sono stati degli screzi tra Berlusconi e Fini, già in passato, è vero: la crisi di governo nel lungo quinquennio 2001-2006 voluta congiuntamente da Fini e Casini, e l'allontanamento di Tremonti dal ministero dell'Economia. Piccole vittorie. Ma di breve durata, tant'è che Tremonti è di nuovo il ministro più importante dell'attuale esecutivo.
Fini ha approfittato di Berlusconi, che lo ha sdoganato, ed in cambio non gli ha mai seriamente messo i bastoni tra le ruote fino al 2007.

Alla fine del 2007, mentre la coalizione di sinistra-centro che regge il traballante governo Prodi II implode, Berlusconi se ne esce col cosiddetto "Popolo delle Libertà" e Fini capisce di essere nei guai.
Con la legge elettorale allora (e tuttora) in vigore, far confluire AN nel PdL è quasi un obbligo per non sparire. Ma far confluire AN nel PdL vuol dire consegnarsi a Berlusconi come un prigioniero.
Dopo iniziali titubanze, Fini ebbe ad accettare questo accordo, col risultato che oggi, quasi tre anni dopo, Fini scopre di non avere più un partito ma un "movimento" di una trentina di deputati e meno di dieci senatori.
Capaci di far cadere il governo, può essere. Ma sono ben poca cosa rispetto a quel che un politico come Fini poteva pensare anche solo cinque anni fa.

La triste realtà, per Fini e per tutti noi, è che il percorso politico di Fini è stato suo personale e di pochi suoi seguaci: non è stato condiviso dalle gerarchie di AN.
Cose che capitano, quando si vuole costruire una destra democratica con i residui del neofascismo: quando si vuol costruire un palazzo, anche la qualità dei mattoni conta. E questo è proprio quel che è venuto a mancare: un partito (AN) che ha apprezzato il carisma personale del leader (Fini), ma che non ne ha condiviso il progetto e che quindi è stato disposto a passare armi e bagagli con un altro leader carismatico (Berlusconi).

Quali strade in futuro possa percorrere l'on. Fini per creare una destra costituzionale in Italia sinceramente lo ignoro:
  1. se continua ad appoggiare il governo, la sua scissione sarà poco influente;
  2. se crea problemi all'esecutivo, Berlusconi può dimettersi ed ha i numeri (al Senato) per impedire la formazione di un nuovo esecutivo "tecnico", che vuol dire nuove elezioni anticipate: elezioni che Berlusconi è in grado di vincere ancora una volta e senza bisogno di Fini, Bocchino e Granata.
Fini ha in realtà una pistola scarica in mano: magari fa paura, ma non può far del male, ed i numeri sia in Parlamento che nel Paese non sono dalla sua.

La strada per avere una destra democratica in Italia è ancora lunga, con gran danno di tutti (di destra e di sinistra): ogni elezione in Italia si porta dietro toni da guerra civile, celebre il "non faremo prigionieri" di Cesare Previti, che si concretizzano in una oggettiva incapacità dei governi (più o meno stabili, di ogni colore politico) di affrontare davvero quelli che sono i problemi aperti ed irrisolti del Paese.

Il bello è che è evidente quali siano: una istruzione che non istruisce, il lavoro che manca, una economia che ristagna, i servizi pubblici inefficienti.
Sono parti dello stesso problema, che però ogni esecutivo lascia perdere.
Reagan diceva che il debito USA era abbastanza grande da poter badare a sé stesso: di fatto ogni governo perlomeno dal 2000 ad oggi sta applicando la stessa logica alle falle sempre più numerose del "sistema Italia".

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