lunedì 13 giugno 2011

Aftermath, part II

Giuliano Ferrara si chiede oggi quale sarà, in un futuro prossimo in cui la "democrazia dell'alternanza" darà una maggioranza parlamentare alla sinistra, l'eredità storica del berlusconismo.
Può essere prematuro discuterne, poiché Berlusconi è già stato dato per morto almeno altre due volte eppure continua a dominare la scena politica italiana.

Ma io ci provo lo stesso.

Mi vengono in mente le parole (sprezzanti) di Benito Mussolini alla Camera sul caso Matteotti:
Se il fascismo non è stato altro che olio di ricino e manganello e non invece una passione superba della migliore gioventù italiana, a me la colpa!
Oggi noi sappiamo che il fascismo è stato tutto meno che passione superba della migliore gioventù, ed abbiamo visto Mussolini penzolare appeso ad un distributore.
Verrebbe quindi facile liquidare il berlusconismo allo stesso identico modo.

La realtà però non sta esattamente così, ed è più complessa di come le riduzioni della sinistra militante la vuole dipingere.

Al di là dei fantasiosi paralleli tra Mussolini e Berlusconi, quel che bisogna ammettere è che il berlusconismo ha portato in Italia un nuovo modo di fare politica. Nel bene e (più spesso) nel male.
a) Il rapporto diretto con l'elettorato è in linea con le grandi democrazie [1]  in cui si delega il potere non ad un apparato, bensì ad una persona che goda della fiducia della maggioranza. Anche la tremenda legge "porcata" in fondo va in questa direzione.
b) Ha portato alla ribalta le istanze del ceto produttivo italiano. A parole. Nei fatti non ha fatto niente in quasi 10 anni di governo. Ma almeno a parole ha riconosciuto i problemi di chi tutti i giorni sa quanto sia rognoso mandare avanti una attività produttiva. Tra la burocrazia e le tasse basate su studi di settore a volte senza senso.
Certo, il nostro ceto produttivo è particolarmente arretrato e privo di visione strategica, ma è tutto quello che abbiamo.
c) Ha fatto saltare ogni consuetudine istituzionale che si possa pensare. Silenzio elettorale? Rispetto delle sentenze? Scontro col capo dello Stato?  Sfottò al presidente della camera bassa? Sberleffi alle supreme corti? Leggi incostituzionali "ad personam"? Gesti impropri ai meeting internazionali?
Non ci ha fatto mancare niente. Ma queste cose sono piaciute ad una certa parte dell'elettorato, perché obiettivamente sono atteggiamenti anticonformisti, da "outsider". La "politica del cucù" e la politica dell'outsider. Che in un paese in cui si impreca "piove, governo ladro" significa comunque essere giudicati meglio dei politici di professione.
d) Ed infatti questa è sempre una delle peculiarità di Berlusconi: essere sempre un outsider. O almeno sapersi presentare sempre come tale.
Non nasce politico, lo diventa. E resta lontano dalla dura arte della mediazione politica fino ai giorni nostri. Anzi, diventa sempre meno capace di mediare con la politica. Prima rompe con gli ex-DC, poi con gli ex-fascisti. Ora governa con una forza politica grottesca che si esprime a insulti e gesti dell'ombrello. Gli unici con cui mantiene affinità, se non ideologica, perlomeno caratteriale. Sono dei freak, ed in quanto freak sono outsider come lui.
E la carica degli outsider non si arresta certo con lui, anzi, coinvolge adesso anche la sinistra. Come interpretare altrimenti la vittoria di Pisapia? Brillante avvocato borghese vicino a Vendola ed ai centri sociali che batte il candidato dell'apparato del PD?
E De Magistris che fa uguale ma addirittura alle elezioni?
E prima ancora Renzi che vince le primarie a Firenze contro lo stesso partito di cui ha la tessera?
Oggi tutti vogliono essere rottamatori, come Berlusconi è stato il rottamatore della Prima Repubblica.
e) E infatti questa è la chiave di lettura della Seconda Repubblica, penso: un vaffanculo alla politica barbosa e inconcludente della DC e del resto del pentapartito. Una politica lontana dalla gente, fatta di trame di palazzo che del parere del popolo sovrano spesso se ne fregava altamente.
La pratica ci dice che anche la politica della Seconda Repubblica (di cui Berlusconi è il massimo esponente ed il primo responsabile) è stata corrotta e inconcludente.
Ma di sicuro non è stata barbosa, abbiamo visto accadere veramente di tutto, ci siamo fatti mancare solo il colpo di stato. Ed è stata in contatto molto più diretto col popolo sovrano.
f) E questo contatto col popolo ci dice anche che è morta l'idea che un leader sia migliore del suo elettorato. Di sicuro, l'uomo Berlusconi non è migliore del suo elettorato [2], ma nessuno è più interessato a questo. La politica moralista è stata soppiantata dalla politica "reality": di Berlusconi sappiamo tutto, anche su che letto scopa o quali siano le sue fantasie erotiche. E le sue fortune politiche sono indipendenti da questo.
Potrà non piacere, ma aver rigettato la morale come categoria di giudizio politico rende possibile parlare di cose reali [3].
g) Ed è sotto il peso delle cose reali che Berlusconi sembra oggi essere giunto al capolinea. Con una espressione di cui si fa parecchio abuso, si può dire che "il re è nudo". Ma in senso letterale.
Il re non è interessato al suo paese, non governa più nulla, non fa più nulla. E' interessato solo a se stesso, ai suoi piaceri, alla sua immunità, alle sue aziende.
Il Berlusconi politico vince grazie ai desideri della parte produttiva del paese. E, come è giusto che sia, va in crisi quando questa parte produttiva si accorge (con colpevole ritardo) che ogni promessa berlusconiana è rimasta solo promessa, e non si è mai concretizzata nella realtà.
Berlusconi vince perché interpreta la realtà, ed ora perde perché non ha saputo/voluto incidervi.
Le sue Tv non riescono a nascondere questo fatto. La realtà è sempre stata più forte della finzione televisiva.
Le sinistre ci hanno venduto una immagine del berluscones beota rimbambito dalle veline col culo di fuori. Ma in realtà quando i problemi del paese non hanno risposta se ne accorgono tutti.

Per tornare alla domanda di Ferrara, quindi, qual è il lascito migliore del berlusconismo?

Secondo me, dimostrare che la rappresentatività è il mezzo con cui vincere le elezioni, e che la realtà resta comunque il criterio con cui la politica viene valutata.
In barba a moralismi della domenica, giochi di partito e mistificazioni televisive.

E secondo voi?


[1] Il problema è che le grandi democrazie hanno delle basi democratiche solide, mentre noi no. Gli USA coi loro "checks and balances" avrebbero metabolizzato meglio Berlusconi di quanto abbiamo fatto noi.
[2] Perché se invece lo fosse, credo, l'unica soluzione per l'Italia sarebbe un genocidio.
[3] Dove c'è la morale ci sono i valori, la fede, gli ideali e bla bla bla. Belle cose, eh, ma hanno senso su scala personale e privata. Non sulla scala strategica del governare una nazione di 60 milioni di abitanti. La realtà è fatta di idee, non di ideali.

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