sabato 16 ottobre 2010

I lavoratori si dividono in due categorie: i lavoratori e i non-lavoratori

La manifestazione sindacale di oggi ha del grottesco (link).
Per una volta mi trovo d'accordo con le parole di un ministro del governo Berlusconi:
Oggi è scesa in campo una minoranza, speriamo che resti tale.
Ecco, io lo spero davvero.
Non mi permetto di giudicare i singoli che hanno ritenuto di partecipare a questa iniziativa.
Mi permetto però di dire la mia su cosa ci sta dietro a tutto questo: una non accettazione della realtà.
Questa non accettazione passa da almeno due stadi, ben interconnessi tra di loro: li passo brevemente in rassegna.

1) La critica più forte che si è levata dai sindacati e dalla "sinistra estrema" (a me piace chiamarla "sinistra smodata", perché dà più l'idea di un gesticolare frenetico sotto gli effetti di stupefacenti) è rivolta al cosiddetto "Modello Marchionne" ed alla "dittatura del libero mercato".
Peccato che il "Marchionnismo" non è altro che chiedere che i lavoratori facciano quello che li definisce: lavorare, e non inventarsi centomila scuse per assentarsi e mandare in malora le fabbriche.
Marchionne chiede una cosa molto semplice: vuole che siano prodotte x auto nel tempo y, perché all'azienda servono visto che le attuali previsioni sull'andamento dei mercati suggeriscono che solo le aziende capaci di immettere grandi quantità di auto potranno sopravvivere alla crisi.
Quel che chiede Marchionne ovviamente è del tutto giusto e sarebbe lecito chiederlo in ogni circostanza ("prendete uno stipendio per lavorare, non per darvi malati quando gioca l'Italia"), ma a maggior ragione adesso che la sopravvivenza stessa dall'industria italiana è a rischio.
Ovviamente queste parole di buon senso sono state salutate da parte dei sindacati con la solita bordata di insulti: tra Landini e gli altri suoi compagni di merende sono arrivati a dire di tutto, compreso che Marchionne "attenta ai diritti costituzionali" [*]. A quali diritti costituzionali facciano riferimento questi signori non è dato saperlo, probabilmente anche la "sinistra smodata" ha deciso di dotarsi di una costituzione materiale sua propria (non diversamente da quel che sostengono Ghedini e Berlusconi [**]) il cui articolo unico recita: "Tutti sono automaticamente lavoratori ed hanno diritto a percepire un regolare stipendio qualunque cosa facciano o non facciano".
Con questi figuri è del tutto impossibile imbastire alcun dialogo: bene fa Marchionne ad andare avanti senza di loro, che proseguano il loro sterile monologo nelle piazze.
Resta il fatto che questa gente può avere un seguito: a seconda di quanto è esteso tale consenso il destino industriale del nostro paese può portarci verso il baratro del terzo mondo o meno. In ogni caso sappiano che a Marchionne non ci vuole niente a smobilitare tutto, licenziare a manetta e spostare la produzione in posti dove la gente ha voglia di sgobbare sul serio, tipo Polonia e Romania.


2) La gente scesa in piazza grida esasperata: "non c'è lavoro, è inaccettabile".
Be' signori, benvenuti nel XXI secolo dalla parte di chi non cresce più dell'1% l'anno.
Credevamo davvero che quei numeri che l'ISTAT ci dice alla Tv fossero solo sciocchezze? Be', ecco il risultato: l'Italia sta diventando un paese sempre più povero.
E questo non è né inaccettabile né stupefacente: minacciare lo sciopero generale come ha fatto irresponsabilmente Epifani non significa altro che impoverire l'Italia ancora di più, far chiudere più aziende, minare la nostra crescita economica.
Crescita economica che è risibile da decenni a causa di un semplice problema: in Italia la selezione del libero mercato non ha operato per decenni, ed l'assenza di questa ha fatto sì che imprese fallimentari siano rimaste in piedi in modo artificioso (con aiuti di stato, salvataggi pubblici, prestiti irragionevoli in condizioni di insolvibilità) soffocando quel che di buono poteva nascere.
Per anni il sistema ha retto, per il solito motivo cui accennavo prima in precedenti post (link): l'Italia era un paese di una certa importanza, avevamo la cortina di ferro al confine e il mercato stesso si limitava all'Occidente.
Insomma, in una qualche misura (in quanto parte del'Oiccdente) eravamo arbitri e giocatori al tempo stesso, mentre il resto del mondo faceva la fame noi parlavamo di Dior e delle sfilate di Valentino come se fossero cose delle massima importanza.
Ora, se vogliamo, possiamo pure continuare a far finta di essere ancora ricchi e discutere amabilmente di fuffa allo stato puro (come del resto fanno i nostri mezzi di informazione: descrivono un'Italia che sembra ancora benestante), ma nel frattempo il mercato si è allargato a miliardi di altre persone, la guerra fredda è finita da un pezzo e con essa la nostra importanza strategica: scopriamo così che i nuovi protagonisti della globalizzazione (in primis Cina, India, Brasile, Corea del Sud, ma a breve anche Indonesia, Messico, Turchia, Vietnam e Russia) non sono affatto disposti a giocare contro di noi con noi come arbitro.
La globalizzazione ha portato il ventro fresco del libero mercato anche nel Vecchio Continente, che si scopre sempre più marginale ed impotente. E, tra tutte le nazioni del Vecchio Continente, la più impreparata ad affrontare le sfide del futuro è proprio l'Italia.
I manifestanti dicono che questo è "inaccettabile". Ma inaccettabile che? E' un fatto che l'Italia stia declinando, potete pure battere la scarpa sul tavolo come Kruscev e mettervi a piangere, ma non cambierete la realtà dei fatti.
Al contrario, i fatti vanno "accettati" il prima possibile perché solo prendendone atto si può tentare di mettere in atto delle contromisure efficaci (più mercato, più competizione, meno privilegi).
Ma chiaramente non è questo ciò che interessa la sinistra estrema: loro vogliono giocare con le regole vecchie, mentre il mondo è già passato a regole nuove, e non si capacitano di come mai questa volta le cose non stiano andando come vogliono loro.
Ma poi, perché sarebbe "inaccettabile" che l'Italia vada a picco mentre per decenni ci è parso normale che messicani e brasiliani (tanto per fare due esempi) fossero poveri straccioni morti di fame? Non notate il fondamentale razzismo di tutto questo? Il non voler accettare per noi quel che in altri momenti storici è valso per gli altri? E poi l'egocentrisimo di questa affermazione: il mondo globalizzato se ne frega se l'Italia, penisola minuscola di 60 milioni di pezzenti, ha dei problemi economici.
Il mondo là fuori può benissimo fare a meno di noi: siamo noi che ormai (come mercato) non bastiamo più a noi stessi e quindi siamo noi ad avere bisogno del resto del mondo. E no, esportare pizza, mafia e mandolino (i nostri tre principali prodotti da esportazione, se continua questo andazzo) non sarà la soluzione ai nostri problemi.


Insomma, la "gente" si lamenta di non avere un futuro. Lo capisco bene, neanche io ho un futuro.
Ma non pretendo che sia un diritto averlo: il futuro ce lo si deve costruire (anche in USA è un diritto la ricerca della felicità, non la felicità in sé!), se i nostri genitori ci hanno illuso che il futuro fosse gratis, be', si sbagliavano e di grosso anche. Alla fine qualcuno paga sempre [***].

Oggi, va detto, sono scesi in piazza non solo i privilegiati (quelli col posto fisso), ma anche i precari che aspirano al posto fisso.
Ma concettualmente non fa differenza: non esiste alcuna differenza tra forma mentis di un privilegiato e quella di un paria che aspira ad essere privilegiato.
Il salto di qualità sarebbe aspirare ad una posizione consona ai propri meriti (se ci sono), mentre qua la gente sembra pretendere una posizione consona ai propri bisogni. Non è la stessa cosa.

La polemica di questi giorni su scuola ed università del resto è da manuale: precari che vogliono essere assunti in quanto precari, anche se in realtà di loro non c'è alcun bisogno. Gente che ha confuso il servizio pubblico con un erogatore automatico di stipendi a pioggia.
Una seria riforma del "sistema Italia" (se mai verrà tentata) non potrà che passare da una riforma prioritaria del pubblico impiego, introducendo la possibilità effettiva di licenziare chi non lavora (e sono tanti).


Ennio Flaiano disse una volta che "i fascisti si dividono in due categorie: i fascisti e gli antifascisti".
Allo stesso modo, oggi bisognerebbe dire che i lavoratori si dividono in due categorie: i lavoratori e i non-lavoratori.

Chi è sceso in piazza oggi, in buona fede o meno, ha difeso gli interessi di chi si approfitta delle carenze del sistema per prendere uno stipendio senza lavorare, gravando così sui pochi che si fanno carico delle mancanze di tutti.

Complimenti.



* Dimenticando, come al solito, che semmai sono i sindacati stessi a violare la Carta (art. 39) non accettando di farsi registrare. Il che ha ovvi motivi: per registrarsi dovrebbero dotarsi di statuti democratici (incompatibili con la mentalità "io copro te e tu copri me" che serpeggia in CGIL) e contarsi al proprio interno, mostrando così a tutti che i numeri immani sbandierati non hanno alcun fondamento.

** Ad ennesima conferma che tra la nostra "destra" mignottara e la nostra sinistra ultra-sindacalizzata le differenze sono minime. 
Non è un caso che oggi i primi avversari del berlusconismo siano Fini e Marcegaglia (entrambi vittime dei linciaggi mediatici dei quotidiani del Presidente del Consiglio), persone che di certo non provengono dall'area del sindacalismo o della sinustra militante.

*** Nel caso dei baby boomers, il conto del loro futuro lo ha pagato quella parte del mondo tenuta fuori dal mercato globale e lo pagano i giovani di oggi su cui si scaricano tutte le voragini nel bilancio del welfare state.

Nessun commento:

Posta un commento