mercoledì 12 gennaio 2011

Sabbatical as a way to do nothing and bring stillness to your life

Sulla Repubblica di ieri 11 gennaio, pagina 25, c'è un interessante articolo sull'anno sabbatico.

L'anno sabbatico in genere è un anno di pausa che possono prendere professori universitari o comunque professionisti avviati per studiare ed informarsi, per ricominciare poi l'anno dopo a rilavorare con idee nuove.
Un anno di formazione (un po' come i MBA fatti bene, rivolti a chi ha già esperienza lavorativa in quel settore) per farsi venire idee nuove, insomma.

Nel mondo accademico (quello serio, quindi non in quello italiano) ha parecchio senso: tipicamente attorno ai 22-30 anni hai le idee più nuove, perché sei fresco di studi e nel complesso durante il PhD hai un minimo di tempo per studiare e approfondire qualcosa da te.
Poi negli anni seguenti sfrutti fino all'ultima goccia le idee che hai avuto pubblicando tutto il pubblicabile, ma alla fine ti servono idee nuove perché quel che pubblicavi su Nature a 25 anni adesso è così di routine che non va neanche sul Corriere dei Piccoli. E allora un anno di stacco per studiare ha senso.

L'Italia è un paese fantastico, invece: l'80% degli studenti di scienza della comunicazione, il 70% degli studenti di legge e il 52% degli studenti di scienze politiche vorrebbe fare un anno sabbatico.
Non si sta parlando di professionisti, eh, ma di studenti!
Ci spiega la solita sociologa (tale Chiara Saraceno): "è una moratoria psicosociale prima delle responsabilità della vita adulta".
Tradotto per i profani: è un ulteriore anno di cazzeggio pagato da mamma e papi che dopo 5(+fuoricorso) anni di università regalano ai propri figli un altro anno per grattarsi.
Sì, c'è magari chi lo mette a frutto, chi si dà da fare, chi se lo ripaga da sé e bla bla bla, ma si tratta di tre gatti statisticamente irrilevanti.

La realtà è che in questo paese c'è poca voglia di lavorare.
Quel che è peggio, la voglia di lavorare decresce con l'aumentare del titolo di studio.

La scarsità di offerte di lavoro per laureati è solo una parte del fenomeno: non basta a spiegare questa totale e completa disaffezione dal lavoro da parte di chiunque c'abbia uno straccio di pezzo di carta in mano.
La realtà è che l'università è diventata un parcheggio sociale, così come le carceri sono una discarica: in un università stazionano per un numero indefinito di anni persone che con minimo sforzo possono avere ed avranno un titolo di studio che una volta era una ragionevole garanzia di possedere delle competenze.
Ora le competenze sono spezzettate in decine di esami senza senso e completamente non formativi.
Un eterno presente foraggiato dalla ricchezza delle famiglie che hanno deciso che la laurea è l'unico modo per assicurare ai figli un futuro radioso. Tutti vogliono avere il figlio dottore in qualcosa, nessuno vuole avere il figlio manovale. Tutti sono convinti che il proprio figlio sia speciale, particolarmente dotato, eccellente in almeno una disciplina strategica che gli assicurerà di diventare top manager di qualcosa entro i 30 anni. Certo, come no.

Cosa ancora più grave, intere generazioni sono state cresciute con l'idea che le competenze siano inutili nella società moderna (questo lo dicevano negli anni '80), nel terziario avanzato (questo alla fine degli anni '90), nel web2.0 (questo negli anni 2000) e così via.
La cosa è del tutto falsa, ovviamente (come se facebook non abbia dietro pianificazione e competenze), ma i profeti del cazzeggio sono ovunque e tutti promettono la medesima cosa: "fai soldi se sei buono a nulla, perché tanto tu sei speciale dentro".
I media hanno coltivato questa idea perché fa presa, è utile per il marketing di qualunque cosa, e l'hanno anche contestualmente diffusa.
Nessuno vuole essere brutto e grigio come Marchionne, sa di fatica, di studio, di responsabilità. Poi quei maglioncini... brrr. Vogliamo tutti essere strafighi e tutti speciali, ci piastriamo i capelli e sogniamo la Mini e tutte le sere all'aperitivo e poi a ballare. Gente così fa girare l'economia e consuma ben oltre quel che può davvero permettersi.

Nessuno nasce con la voglia di farsi il culo, se possibile chiunque preferirebbe la strada più semplice. Un paio di calci in bocca assestati bene dalla vita entro i 20 anni aiutano a realizzare che invece farsi il culo è l'unico modo per continuare a sperare di rimanere a galla.
Purtroppo la società del benessere questi calci in bocca non li assesta se non quando è troppo tardi (quando la mentalità delle persone è già formata) perché la ricchezza diffusa o (in Italia) quell'ammortizzatore sociale che sono i risparmi di famiglia sono sufficienti a far vivere i giovani in un eterno presente almeno fino ai 25-30 anni.
Superata tale soglia che si fa? Ma è logico: si cerca di perdurare nell'eterno presente! Finiti 5 anni di parcheggio in ateneo? Ma prendiamoci un bel sabbatico!
Al ritorno perché non una seconda laurea, magari in "organizzazione di eventi"? O un bel master in "stilismo della moda"? Figo, eh!

L'Occidente è da 20 anni che sta vivendo al di sopra delle proprie possibilità (l'Italia da più tempo) e per anni a molta gente ha fatto comodo così.
Il problema è che alla fine della fiera il conto da pagare per aver perso tempo ed aver buttato intere generazioni sarà salato.

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