martedì 6 dicembre 2011

Giocare d'azzardo

Obama in politica estera è un giocatore d'azzardo. Questo può fare paura ad alcuni, me incluso, perché i giocatori d'azzardo quando perdono tendono poi a rialzare la posta per rifarsi delle perdite. Ma d'altra parte, se un giocatore d'azzardo vince non si può che decantarne le lodi.

Su Obama, allo stato attuale, non me la sento di sbilanciarmi in alcuno dei due giudizi. Solo che gli piace rischiare.
Certo, rischiando ha ottenuto alcuni successi, è innegabile. Ordinando l'attacco al "compound" di Abbottabad ha fatto uccidere Bin Laden. Ha condotto con successo una guerra in Libia col minimo dispendio di forze, al punto che mesi fa su questo blog prlavo di serio rischio di sconfitta militare.
Obama si è accollato alcuni rischi ed ha vinto, indubbiamente.
D'altra parte, però, si tratta solo di vittorie tattiche e non strategiche.

E per Obama non può che essere così, poiché Obama non ha una strategia complessiva per il Medio Oriente. Non sa veramente cosa fare, come gestire quella regione nel lungo periodo, sa come gestire le singole emergenze (con una significativa eccezione di cui parlerò a breve).
Nel 2009, mai scordarlo, Obama si presentò al Cairo per tessere le lodi di leader "saggi e moderati" come Mubarak. Lo stesso Mubarak che ora è trascinato in catene in un'aula di tribunale in attesa di una probabilissima condanna a morte.
La visione d'insieme di Obama, insomma, o non c'è ho è andata completamente a puttane dopo appena due anni dal suo insediamento, il che ai fini pratici è esattamente la stessa cosa.

Allo stesso modo, vincere in Libia per il rotto della cuffia è solo una vittoria tattica: hai rovesciato Gheddafi che era la merda del mondo, ok, ma se non hai modo di insediare dopo un governo che non sia anti-occidentale è completamente inutile.
La vittoria o comunque la rivincita degli islamisti in Libia, Tunisia ed Egitto è un problema strategico e l'Occidente, di cui Obama è comunque alla guida, deve trovare una risposta strategica a questo problema. e vincere singoli confronti (anche militari, come nel caso libico) non è la risposta adeguata.

C'è poi un problema che è sia tattico che strategico, e si chiama Iran. L'Iran sta puntando ad un confronto diretta con l'unica democrazia liberale della regione (Israele) e pone quindi sia il problema di come contenere l'Iran adesso, sia di come affrontare l'Iran nel lungo periodo.
La risposta di Obama a questo problema è stata finora del tutto insufficiente: siamo davanti a rapportui dell'AIEA che mostrano come sia inequivocabile che l'Iran si stia dotando di armi atomiche, in totale disprezzo ai trattati che l'Iran stesso ha sottoscritto. C'è materiale a sufficienza per giustificare qualunque genere di intervento, nel caso limite anche di usare la bomba, visto che l'Iran minaccia un giorno sì e l'altro pure di cancellare dalla faccia della terra 3 milioni di ebrei (ed i 4 milioni di palestinesi lì attorno, visto che le armi atomiche non faranno distinzioni etniche quando pioveranno dal cielo).

Obama, cui piacce giocare d'azzardo, si trova quindi davanti ad una scelta che non è opportuno rimandare, visto che ogni giorno che passa l'Iran è sempre più vicino alla bomba atomica.

Questa totale inazione americana, tra l'altro, sta facendo venire dei dubbi alla (pessima) leadership israeliana: "ma stai a vedere che Obama in realtà vuole creare un mini-equilibrio del terrore tra Iran ed Israele proprio come quello tra Pakistan ed India?".
E' un dubbio che sta venendo a molta gente, e che da una parte chiuderebbe la questione iraniana, perlomeno a livello tattico (nessun attacco sarebbe più possibile), sacrificando però il destino dell'unica democrazia liberale della regione.
Se la scelta di Obama sarà veramente questa, c'è da sperare che arrivi presto un nuovo inquilino alla casa bianca.

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